La discrezione è tutto. Nella tranquillità della via sormontata dalla Torre degli Annibaldi, dove un tempo venivano barbaramente appese le mani dei ladri, l’unica traccia della presenza del ministro sono le sue iniziali, «C. S.», sul citofono dell’unica palazzina moderna incastonata nella collina di via del Fagutale. Nascosta tra i cespugli una targa ricorda che qui Sordi ha girato «Un americano a Roma». «All’attico c’abita Lory del Santo», s’improvvisa cicerone un tassista. «E pure Raoul Bova».
La vista, comunque, davanti mozza il fiato: le arcate del Colosseo, l’Arco di Costantino. Via dei Fori imperiali è appena 49 gradini più in basso. Dietro casa, la splendida chiesa di San Pietro in Vincoli. Un angolo di paradiso che Scajola divide i vicini frati di San Francesco Di Paola e con gli studenti della bellissima facoltà di ingegneria. Il ministro giura che per comprarlo ha acceso un muto di quasi 600 mila euro. Ma, secondo la procura di Perugia, l’architetto Zampolini ci avrebbe aggiunto ottanta assegni, 900mila euro, provenienti dalla cricca di Anemone e Balducci, versati direttamente alle vecchie proprietarie.
Al citofono di «C.S.» non risponde nessuno. Il ministro, dal mattino, è nel suo studio al ministero di via Veneto. Asserragliato. Le telecamere aspettano in strada una sua dichiarazione. Macché. Il ministro non si fa vedere nemmeno al convegno sul ritorno al nucleare, che si tiene nel palazzo affianco. Nel mezzo della bufera, all’interno del palazzone ministeriale si alternano monsignor Paglia, vescovo di Terni e di Sant’Egidio. E il consigliere politico del ministro, Ignazio Abrignani. Vanno e vengono frati e prelati. I rapporti con le gerarchie ecclesiastiche, da ex dc, Scajola li ha sempre curati con attenzione. Tanto che nel 2004 monsignor Crescenzio Sepe fece di tutto perché sua moglie, esperta d’arte, fosse inserita nel Comitato scientifico del museo che sarebbe dovuto sorgere nel palazzo della Propaganda Fide a piazza di Spagna. Proprio quel progetto per cui Sepe si era rivolto al fidatissimo Balducci, ma che, nonostante i tanti soldi spesi dallo Stato, non andò mai in porto.
Da via Veneto, l’unica cosa che trapela, poco prima di pranzo, è una nota che parla di «oscuri manovratori» e di «violenza che colpisce il mio privato» e comunica lo suo stato d’animo del ministro. Essere finito nelle carte dell’inchiesta sulla cricca Anemone lo considera nel novero delle «cose incomprensibili che nella vita possono capitare». «La mia coscienza – dice – è pulita, proseguo con la massima serenità il mio lavoro». I suoi ripetono che di quegli assegni il ministro non sapeva nulla. La nota nel merito non ci entra nemmeno: «per rispetto alla Magistratura».
Il resto della giornata scorre in apnea, fino alla benedizione del premier, che il ministro va a raccogliere a Palazzo Grazioli, mentre su di lui si scatena la bufera. Da una parte, la presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro chiede che Schifani chiami Scajola in parlamento a chiarire la vicenda. Dall’altra, Di Pietro che davanti a «un ministro della Repubblica che avrebbe ricevuto assegni nell’esercizio delle sue funzioni per comprare immobili con modalità non lecite» invoca già le dimissioni. L’idea – dicono i suoi – avrebbe sfiorato lo stesso Scajola. «Non ti preoccupare, finirà tutto in una bolla di sapone», lo rassicura Berlusconi, nel tu-per-tu a Palazzo Grazioli, mentre il resto del Pdl fa quadrato: «Le accuse sono inconsistenti – lo incoraggia il premier -, vai avanti così, devi stare sereno, sono con te».
L’Unità 30.04.10
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“Spiegare o dimettersi”, di MASSIMO GIANNINI
Non è una buona notizia per la democrazia sapere che un ministro della Repubblica è finito nell’inchiesta sulla “cricca” del G8 all’Aquila. Per questo, da garantisti, ci auguriamo che il coinvolgimento di Claudio Scajola in quella brutta storia di corruzione e malaffare si risolva in una “bolla di sapone”, come si è affrettato a scommettere il premier. Ma gli elementi a carico del ministro sembrano pesanti: secondo i pm, ci sono le prove testimoniali che Scajola avrebbe usato gli assegni circolari messi a disposizione da Anemone (non si sa a che titolo) per comprare un appartamento a due passi dal Colosseo.
Profili giudiziari a parte, c’è un obbligo di chiarezza al quale un servitore dello Stato non può sottrarsi. Se il ministro si ritiene vittima di “un’intimidazione”, non può limitarsi a parlare di “attacco inspiegabile”: ha il dovere di spiegare se la compravendita immobiliare che lo riguarda è vera o è falsa. Se è convinto che dietro ci sia un misterioso “disegno preordinato”, non può limitarsi a evocare “oscuri manovratori”: ha il dovere di spiegare ciò che sa di questo “complotto” e chi sono i “complottisti”. Ma se invece non è in grado di fornire al Paese queste spiegazioni, Scajola ha invece un altro dovere: dimettersi. Si chiama etica della responsabilità, ed è l’essenza della ragion politica.
La Repubblica 30.04.10
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