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La Lega e la mini-secessione: «La Romagna si liberi dell’Emilia», di Francesca Basso

Se federalismo dev’essere, allora che sia fino in fondo. E a volere l’autonomia questa volta non è il Veneto del Leone di San Marco o la Lombardia-locomotiva d’Italia. La sanguigna Romagna ha deciso di dire bye bye alla florida Emilia, che non sembra intenzionata a fare le barricate. In commissione Affari costituzionali alla Camera sono già in calendario due proposte di legge, firmate dal leghista Gianluca Pini e dal finiano Enzo Raisi: l’obiettivo è rendere autonome da Bologna le Province di Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna, costituendo la Regione Romagna. Sia chiaro, la secessione non c’entra. Entrambe le proposte, spiegano i promotori, sono frutto del federalismo, perché l’obiettivo è interpretare le esigenze del territorio. Di quel territorio ancora in mano al centrosinistra, ma in cui il Popolo della Libertà ha raggiunto al 24,5% alle ultime Regionali mentre la Lega è arrivata al 13,7% e dal 2008 piazza progressivamente ad ogni elezioni un numero crescente di consiglieri a tutti i livelli.

Sono due proposte di legge distinte. Ed entrambi i promotori tengono a sottolinearlo. Il deputato Gianluca Pini, «emiliano per caso, perché i miei genitori sono romagnoli da generazioni e io vivo a Forlì», spiega che la sua iniziativa riprende «quanto fatto con Calderoli e Bossi nel precedente governo». È il frutto di un lungo lavoro che ha le proprie radici nelle istanze economiche di un territorio che si sente penalizzato dalle politiche di Bologna. E che ora spera nel federalismo per avere un rilancio. «L’autonomia della Romagna va inserita nella riforma federale dello Stato — continua Pini —. È disomogenea rispetto all’Emilia. Sono due realtà diverse». Prima considerazione, la Romagna è più povera: «Il reddito medio pro capite è di circa un quarto inferiore rispetto alla media dell’intera regione». Seconda riflessione: «Ha una vocazione economica differente. I settori forti sono il turismo, l’agricoltura e l’artigianato. L’Emilia, invece, ha la grande e media industria, le cooperative e ha meno terziario». Infine la storia: «Bisogna considerare i milleottocentosessanta anni di autonomia, l’Italia dei Comuni qui non c’è stata, sono terre pontificie. La questione identitaria e culturale — conclude Pini — non è in secondo piano». Ultima tappa della proposta: referendum confermativo (trattandosi di riforma della Costituzione) solo per i romagnoli. Il Carroccio dell’Emilia non fa obiezioni. Il partito, che fin dall’origine si è costituito in due anime (Emilia e Romagna), rispetta le istanze dei vicini: «Ci sarebbero dei vantaggi reali — conferma Angelo Alessandri, segretario nazionale della Lega Nord Emilia e presidente federale del partito —. Sono due realtà diverse, l’Emilia però ha da sempre una struttura più federalista. Abbiamo sostenuto la richiesta della Romagna anche nella devolution. E una Emilia indipendente piacerebbe pure a noi. Gli emiliani però non sentono questa necessità. È un bisogno dei romagnoli che noi rispettiamo». Ed è proprio questa richiesta dal basso che ha raccolto il deputato del Pdl Enzo Raisi: «La mia proposta nasce dalle istanze che arrivano dal mondo della Romagna. E ora che si parla di federalismo, facciamolo in senso positivo, andando incontro alle esigenze del territorio». Appunto, le esigenze del territorio: la formula magica che sottende anche i referendum per passare da una Regione all’altra e rimasti lettera morta. Cortina che nel 2007 sceglie di passare all’Alto Adige, Asiago e i comuni dell’Altopiano che vogliono fare la valigia per Trento così come Lamon (il comune apripista nel 2005). Il punto è sempre lo stesso, conclude Pini: «Poter scegliere autonomamente dove destinare le risorse». E adesso anche la «rossa» Emilia Romagna ha deciso di fare i conti.

Il Corriere della Sera 27.04.10

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