Il questionario sulle Indicazioni nazionali relative agli obiettivi specifici di apprendimento per i licei sembra costruito in modo da affermare più che consultare. Esso risponde infatti ad una sorta di gigantesca tautologia: vuol suggerire all’interlocutore quel che afferma, inducendolo a confermare implicitamente con la risposta (quale che essa sia) la bontà delle affermazioni poste in premessa alle domande. E’ una logica che non lascia spazi di reale discussione.
Pertanto, è opportuno procedere ad un’analisi di carattere più generale.
Questioni di metodo
Una procedura molto discutibile
Esprimiamo innanzitutto il nostro dissenso sulla procedura seguita, che appare del tutto in contrasto con quanto dichiarato all’art. 3 e all’art. 8 comma 1 del DPR 275/99 (“il Ministro della pubblica istruzione, previo parere delle competenti commissioni parlamentari sulle linee e sugli indirizzi generali, definisce a norma dell’articolo 205 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, per i diversi tipi e indirizzi di studio: (…); 1. gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni;”).
Siamo davanti ad una scelta culturale che non tiene conto dell’autonomia delle scuole. Non si può (con un decreto ministeriale, un atto di indirizzo, un allegato) intervenire sulle finalità, sugli obiettivi, sul sapere della scuola, senza aver seguito l’iter procedurale richiesto dalla legge,
esautorando così le Istituzioni competenti dall’esame di atti che incidono profondamente sul futuro del nostro sistema scolastico.
L’assenza di un dibattito preliminare
Sarebbe stato utile un dibattito preliminare sui nodi di fondo, una convergenza di intenti e propositi circa le soluzioni da adottare. Che cosa vuol dire oggi cultura “disinteressata”, cultura del lavoro, e “licealità”? Quali sono le conoscenze che servono a formare cittadini consapevoli? Come contrastare la dispersione e gli abbandoni? Qual è il rapporto tra sapere / sapere scolastico / autonomia di ricerca e sperimentazione degli insegnanti? Senza dare risposte a queste domande diventa difficile valutare il grado di sensatezza della riduzione dell’orario delle varie discipline o della soppressione del Diritto piuttosto che della Geografia. Risulta quindi di scarsa significatività rispondere ai questionari relativamente ai contenuti e agli obiettivi delle singole discipline decontestualizzandoli dall’impianto generale.
Biennio unitario: una occasione mancata
Una ulteriore considerazione critica riguarda il nesso tra queste Indicazioni e l’obbligo di istruzione vigente. Non solo manca un raccordo, ma non vi è neppure alcuna riflessione sulla cosiddetta “area comune” o delle “competenze chiave per l’apprendimento permanente”. L’impianto curricolare previsto per il primo biennio non affronta, né risolve, in termini di unitarietà il percorso obbligatorio dai 6 ai 16 anni. Ci saremmo aspettati, come richiesto dalla stessa Commissione VII nel parere di maggioranza, che le Indicazioni per il biennio obbligatorio avessero forti tratti comuni. In assenza delle Indicazioni per i Tecnici e i Professionali non è neppure possibile comparare le proposte, anzi sembra che il biennio dei Licei debba distinguersi da quello dei Tecnici e dei Professionali. Cogliamo l’occasione per ribadire il nostro convincimento che l’impianto del nuovo riordino appare costruito secondo un sistema di rigida canalizzazione gerarchica tra opzioni (licei, tecnici, professionali) e all’interno delle opzioni tra tipologie di indirizzi. L’evoluzione che il nostro sistema scolastico ha vissuto negli ultimi decenni nella direzione di un innalzamento del livello di istruzione per tutti e dell’integrazione dei sistemi di istruzione, avrebbe dovuto invece rappresentare la base su cui costruire il necessario processo d’innovazione, con l’obiettivo di realizzare percorsi culturali di equivalente valenza educativa, ponendo finalmente termine alla gerarchizzazione tra i vari istituti.
Valutazione nel merito
L’assenza di un piano organico
Per entrare nel merito del testo, è da osservare in primo luogo che siamo davanti ad una sommatoria di materie prive di una struttura concettuale capace di convergere verso lo stesso profilo: “la declinazione disciplinare del Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione dei percorsi liceali” risente delle diverse mani e anime che vi hanno lavorato. L’insegnante è chiamato a tre piani di elaborazione nella costruzione del curricolo:
1. i risultati di apprendimento generali dei licei (allegato A del Regolamento);
2. il “profilo generale e competenze” delle Indicazioni;
3. gli obiettivi specifici di apprendimento.
Sono piani però che non stanno in relazione organica tra loro. Né la struttura discorsiva delle
Indicazioni aiuta a istituire i dovuti nessi. Anche sul piano strettamente pedagogico e didattico rileviamo che non vi è il dovuto collegamento tra l’Allegato A del Regolamento (dove si fa riferimento alle raccomandazioni europee, ad una didattica per competenze definite attraverso l’indicazione di abilità e conoscenze, ad una didattica laboratoriale, a raccomandazioni metodologiche che vanno verso il rinnovamento dell’insegnamento) ed il testo delle Indicazioni, che ripropone una scuola strutturata in modo convenzionale con programmi enciclopedici che non prevedono alcun rinnovamento disciplinare. Inoltre non si capisce che cosa si intenda per “risultato”: un obiettivo? Un profilo in uscita? Un atteggiamento osservabile? Una competenza?
Per quanto riguarda il biennio non si comprende in che rapporto stiano i risultati con le competenze previste per l’obbligo di istruzione dal DM n.139/22 agosto 2007 e con le Indicazioni che verranno emanate per la scuola del primo ciclo.
Non si ravvisano i criteri pedagogici e didattici che stanno dietro alle soluzioni adottate.
Infine, risulta molto approssimativa e confusa la terminologia usata, che andrebbe validata da un punto di vista scientifico e pedagogico (si fa infatti continuamente confusione tra obiettivi,
conoscenze, competenze e profili di uscita).
I contenuti delle Indicazioni: dal programma … al programma
Non si comprende, di fronte all’eccessiva prescrittività “vecchio stile”, quale compito venga
lasciato ai dipartimenti su cui pure il Regolamento in origine insisteva. Se è vero – come recita il
questionario di rilevazione dell’ANSAS al punto 3 – che le Indicazioni dovrebbero “lasciare
all’autonomia delle scuole e alla progettazione dei docenti la possibilità di adattare” gli obiettivi alla classe, come è possibile che invece si diano indicazioni così prescrittive per ogni disciplina?
Sembra del tutto cancellata la riflessione critica, didattica ed epistemologica degli ultimi venti anni su temi-chiave come la ricerca dei nuclei fondanti, la reticolarità dei saperi, le intelligenze multiple, la rivoluzione digitale, la ridefinizione dei confini tra discipline, il superamento dell’ottica trasmissiva e sequenziale delle discipline. Non resta insomma traccia del dibattito culturale che si è svolto e si svolge intorno a questi temi. Manca qualsiasi riferimento ai nuovi alfabeti mediali che esca dalla logica della pura sussidiarietà contenutistica: i raccordi con l’arte, le altre letterature, il cinema (vero nuovo linguaggio narrativo del Novecento) sono giustapposti ai programmi tradizionali e non intrinsecamente pensati come degni di autonomia.
Lungo l’asse privilegiato di “trascurare il contemporaneo” si colloca l’oblio in cui sembra caduta la questione del rapporto tra cultura giovanile e cultura della scuola: scompare l’idea – tanto
supportata dalla ricerca sociologica e psicologica – delle discipline come ambienti formativi
attraverso cui mediare tra gli universi culturali dei giovani e quelli della tradizione di cui la scuola è depositaria.
Infine quello che più spiace, al di là dei singoli rilievi, è l’incidenza che questi “programmi” – per
restituire il giusto nome alle cose – potranno avere sui comportamenti dei docenti e sulla loro
motivazione all’innovazione metodologica e contenutistica: non possiamo non temere che si ritorni stancamente a vecchie prassi trasmissive, giacché la norma insiste nel ribadire pratiche consolidate nei licei e – elemento preoccupante – a gerarchizzare tra loro gli indirizzi liceali sulla base di una presunta superiorità e prestigio culturale del classico sugli altri indirizzi, i cui contenuti appaiono spesso una versione impoverita del primo.
Alcuni esempi tratti dalle Indicazioni per le singole discipline
Per quanto parrebbe superfluo, alla luce delle suddette osservazioni, commentare nello specifico i profili e gli obiettivi relativi alle singole discipline, riteniamo che vadano sottolineate, almeno in funzione di exempla, alcune scelte singolari.
Le Indicazioni, per le materie umanistiche, pur contenendo qualche consiglio e alcune
raccomandazioni (si veda l’invito ad evitare eccessivi metodologismi nell’uso delle griglie per la
lettura, o a proteggersi dagli eccessi di astrattezza grammaticale nell’insegnamento del latino),
nascono piuttosto vecchie nell’impianto e nella sostanza; e non è tanto una questione di
conservatorismo degli oggetti disciplinari (la scuola, scriveva la Arendt, è per sua natura
conservatrice, perché consegna ai giovani una tradizione, ma non impedisce loro di modificarla,
anzi la tramanda proprio perché la modifichino), quanto di una riaffermazione della
autoreferenzialità del sistema scolastico, che risulta chiuso, artificiale e fine a se stesso. Come
esempio di ciò, può essere utile la lettura degli obiettivi del biennio di italiano, laddove viene
ribadita per la letteratura la centralità paradigmatica dell’opera manzoniana e si accenna solo
genericamente alle altre opere letterarie della tradizione occidentale (senza neanche indicare come possibili letture opere contemporanee). Paradossale appare poi la proposta di aprire il biennio con il generico recupero di lacune pregresse (nessuna verticalità, ottica esclusivamente catalogica) e di concluderlo con l’introduzione dello studio della storia della letteratura pre-stilnovistica, che è quanto di più lontano si possa immaginare dagli interessi di un adolescente in crescita. Quando, poi, ci si occupa di contemporaneità, lo si fa accennando genericamente (V anno) agli “interessi di lettura del pubblico” (e ci preme sottolineare la gravità del lapsus: si guarda ai lettori contemporanei definendoli un “pubblico”). Inoltre, il percorso propone un sapere enciclopedico, nel triennio con una struttura ancora rigidamente storicistica, e generalmente privo di mediazione didattica, soggetto per vari motivi a trasformarsi in nozionismo, apprendimento mnemonico/acritico e scarsa padronanza della lingua.
Lascia perplessi la scelta di accorpare materie scolastiche, quali storia e geografia, non sulla base
di una riflessione condotta in modo approfondito e scientifico, ma di una generica affinità esteriore (entrambe materie orali affidate all’insegnante di lettere) e di una discutibile lettura della geografia come dimensione/opzione metodologica interna allo studio della storia; tanto più che questa “rivoluzione epistemologica” non trova riscontro nel profilo e negli obiettivi delle due discipline tenute rigorosamente separate (ma con una consistente riduzione di ore!). Si aggiunga che la lettura geografica e storica continua ad essere tradizionalmente centrata sull’Occidente, se si eccettuano pochi ed effimeri passaggi e riferimenti al “resto del mondo”.
Per quel che attiene alla matematica, va notato come nel testo si corra il rischio di avvalorare un
vecchio pregiudizio secondo cui la geometria euclidea sarebbe l’unico ambito nel quale “si
definiscono i procedimenti caratteristici del pensiero matematico (definizioni, dimostrazioni,
generalizzazioni)”, mentre quando si trattano “elementi del calcolo algebrico, gli elementi della
geometria analitica cartesiana, le funzioni dell’analisi e le nozioni elementari del calcolo
differenziale e integrale,” quel metodo sembra scomparire. Sarebbe al contrario importante che
dalle Indicazioni nazionali giungesse ai docenti una sollecitazione a superare questa visione
dicotomica della matematica, sollecitandoli ad esplicitare in ogni occasione quali sono gli assiomi di una teoria (non solo in geometria, ma anche in algebra, probabilità, ecc.), a partire dai quali si dimostrano le proprietà degli oggetti di quella teoria, e a costruire modelli non solo in ambito statistico-probabilistico, ma anche geometrico (come del resto avvenuto storicamente) e perfino algebrico (la costruzione di formule prevede l’uso consapevole di questo strumento), per finire con l’analisi matematica, che deve uscire dall’ambito ristretto dello studio di funzioni astratte.
Nel caso delle scienze, occorre chiedersi come sia possibile nel biennio, nell’arco delle sole due ore settimanali previste, svolgere un percorso di insegnamento-apprendimento (anche solo attraverso alcuni dei contenuti proposti), che persegua la “dimensione sperimentale” riconosciuta come “dimensione costitutiva di tali discipline e come tale da tenere sempre presente”. Solo nell’opzione Liceo delle scienze applicate c’è un numero di ore adeguato per un lavoro serio e significativo.
Nel caso della fisica le Indicazioni non lasciano intravedere alcuna prospettiva sistematica, storica e critica, non essendo possibile ravvisarvi segni di novità rispetto alla tradizione scolastica, secondo la quale tutte le discipline umanistiche sono ad impianto storicistico e quelle scientifiche vengono invece insegnate come se fossero esistite così da sempre, trascurando completamente i processi che le hanno prodotte, il fare scienza, e avvalorando un’immagine di scienza del tutto statica, come un insieme di regole che è sempre stato e sempre sarà.
Per quel che concerne il diritto, sia per il liceo delle scienze umane (biennio) che per il liceo delle scienze umane nell’indirizzo economico-sociale (quinquennio), nella parte in cui vengono declinati gli obiettivi specifici di apprendimento, le indicazioni si limitano ad elencare una serie di contenuti disciplinari che devono essere posseduti (alla fine del biennio o quinquennio), senza spiegare da un lato come queste concorrano al raggiungimento dei risultati di apprendimento che nell’all. A non vengono distinti per i due licei, dall’altro come questi OSA concorrano a costruire le competenze declinate nel Profilo generale delle competenze.
Per il biennio del liceo delle scienze umane, nel “profilo generale e competenze” si enunciano
traguardi troppo alti e specialistici che non tengono conto dell’età dei ragazzi. In particolare, la
capacità di “utilizzare il linguaggio giuridico” (traguardo comunque non raggiungibile prima del V anno) è da considerare una competenza specialistica di livello post-secondario.
Quanto al triennio anche per questa disciplina si ha la sensazione che venga indicata una sequenza di argomenti tratti dai programmi vigenti, con un approccio prevalentemente nozionistico, piuttosto che con riguardo a ciò che lo studente dovrebbe saper fare e comprendere alla fine del percorso scolastico.
In sintesi
1. la separatezza tra indirizzi rende impraticabile qualsiasi idea di unitarietà del curricolo del
biennio nell’ottica delle competenze culturali di cittadinanza, impedendo di fatto il passaggio da
un indirizzo ad un altro;
2. la flessibilità, pur prevista nel Regolamento, è sacrificata nella rigidità dei percorsi ipotizzati,
specie se si tiene conto dei tagli drastici che incidono sull’organico e sui quadri orari;
3. all’interno delle Indicazioni manca ogni raccordo con il ciclo precedente e si perde così l’idea
di verticalità del curricolo che l’innalzamento dell’obbligo scolastico perseguiva; preoccupa a
tal riguardo la scelta di costituire ex-post una Commissione con il compito di “armonizzare il II
e il I ciclo” (lo si fa partendo dalla fine?);
4. la redazione di Indicazioni dal carattere contenutistico e altamente prescrittivo, con poche
episodiche indicazioni metodologiche e riferimenti rari alla libertà di scelta del docente,
contrasta con il lungo processo di consolidamento dell’autonomia di ricerca, sperimentazione e
sviluppo in cui le scuole hanno investito tempo e risorse negli ultimi 20 anni, al fine di curvare
la propria progettazione didattica alle esigenze formative degli alunni, secondo quanto prescritto
dal DPR 275/98;
5. le Indicazioni non si preoccupano di ripensare il sapere della scuola alla luce delle nuove sfide
culturali e sociali, soprattutto in termini di competenze chiave di cittadinanza;
6. il linguaggio adottato nel PECUP e quello delle Indicazioni rivelano nella loro “incompatibilità” la volontà di ignorare il tema delle competenze culturali quale è emerso nel
dibattito scientifico dell’ultimo decennio in sede internazionale; si cancella così il discorso
della comparabilità tra i diversi indirizzi in Italia e tra i diversi sistemi formativi in Europa. Non
appare affatto chiaro come i contenuti individuati per le discipline possano concorrere ai
risultati di apprendimento indicati nel PECUP.
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