Dopo le dimissioni di Ciampi, motivate da diplomatiche ragioni di stanchezza, anche Zagrebelsky, Gregoretti e Dacia Maraini meditano di lasciare il comitato dei garanti per le celebrazioni dell’Unità d’Italia, liberando quell’impotente consesso dal peso ingombrante della cultura. Perché a questo dovevano servire i festeggiamenti: a restituire agli italiani un minimo di conoscenza della propria storia. Ci si può dividere fra sabaudi e borbonici, unitari e federalisti, partigiani e repubblichini. Ma solo dopo aver saputo chi diavolo fossero tutti costoro. E cosa potrà mai saperne chi, come Bossi jr, afferma che «il tricolore identifica un sentimento di 50 anni fa», cioè gli Anni Sessanta, periodo di contestazioni studentesche nel quale il tricolore era semmai disprezzato come feticcio borghese? O quel sindaco veneto che per la festa della liberazione dal nazifascismo (1945) vorrebbe sostituire «Bella ciao» con le canzoni del Piave che gli alpini cantavano durante la prima guerra mondiale (1915-18)?
L’ignoranza è la dannazione d’Italia dal giorno della sua nascita. La novità è che adesso la si esibisce con orgoglio, recitando quattro frasi lette su un opuscolo. Come la storia di ogni altra nazione, la nostra ha ospitato orrori ed eroi, la deportazione dei briganti meridionali nelle fortezze alpine, ma anche il sacrificio di tanti giovani morti con l’Italia sulle labbra. Meriterebbero di essere ricordati con più rispetto: per la lingua e la memoria di un Paese che non farà mai i conti col suo passato fino a quando continuerà a oscillare fra il revisionismo e la retorica.
La Stampa 23.04.10
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“Unità d’Italia a pezzi”, di Chiara Valentini
Dopo Ciampi, anche Dacia Maraini, Gustavo Zagrebelsky, Ugo Gregoretti e Marta Boneschi lasciano il comitato per le celebrazioni del 150° anniversario voluto dal governo. “Non contavamo più niente. Vogliono imporre al Risorgimento un revisionismo di marca leghista”
Cresce la tempesta nel Comitato dei garanti per le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Dopo le dimissioni del presidente Carlo Azeglio Ciampi, motivate almeno ufficialmente da ragioni di salute, sono in arrivo quelle di altri autorevoli membri del comitato, a cominciare da Dacia Maraini.
Racconta la scrittrice: “Avevo accettato di far parte del comitato dei garanti per simpatia nei confronti di Ciampi e perché volevo sottolineare l’importanza di un anniversario che viene messo in discussione anche con toni rozzi e inaccettabili. Ma con il passare dei mesi il ruolo del comitato è stato svuotato, non contavamo più niente, non potevamo decidere niente. Mi sembrava poco dignitoso restare lì a fare la foglia di fico e così ho mandato una mail a Gustavo Zagrebelsky, anche lui preoccupato per la deriva del nostro lavoro, dicendogli: “Ma che ci stiamo a fare?”.
Zagrebelsky è stato d’accordo e ha scritto una lettera di dimissioni piuttosto dura e motivata, che è stata firmata, oltre che da me, da Ugo Gregoretti e da Marta Boneschi. Intanto aveva scritto una sua lettera di addio anche Ludina Barzini”.
Dacia Maraini nega che le sue dimissioni siano legate a quelle di Carlo Azeglio Ciampi, che pure erano nell’aria. “Non voglio interferire in nessun modo con quel che ha deciso il presidente Ciampi, ma mi sembra improbabile che si sia dimesso solo per ragioni di salute”, dice.
Di quel che succedeva nel Comitato dei garanti la Maraini dà un’immagine kafkiana. “All’inizio credevo che potesse funzionare. C’erano centinaia di progetti di comuni e di istituzioni di cui dovevamo garantire il valore culturale. Ma quando chiedevamo di fare delle scelte le risposte erano vaghe. In compenso venivamo a sapere di altre iniziative già in corso, di cui nessuno si era sognato di parlarci”.
Dacia Maraini aveva provato anche a impegnarsi in prima persona con due proposte, una rassegna di film sul Risorgimento, da tenere a Torino o a Roma, e una serie di iniziative sulla lingua italiana. “Nessuno mi ha risposto. Poi improvvisamente ci è stato detto che non c’era più una lira, non si poteva fare più niente. Abbiamo continuato a vederci lo stesso, sperando di sbloccare la situazione, ma è stato inutile. In tutte le nostre riunioni siamo riusciti ad approvare una cosa sola, un disegno con tre bandierine che saranno il logo delle celebrazioni”. La scrittrice non nasconde la sua amarezza per quel che è successo.
“Si rischia di buttare via una grande occasione per raccontare ai giovani cosa è costata l’Unità d’Italia in termini di lotte, di sangue, di persecuzioni. Si vuol far passare il Risorgimento per una rivoluzione dall’alto, imporre un revisionismo di marca leghista, che vuol mettere in ombra le rivolte di popolo, le repressioni violente”.
Dell’argomento la Maraini è decisa ad occuparsi comunque, e perdipiù dalla parte delle donne. Con un gruppo di scrittrici e giornaliste ha già in cantiere un libro sulle patriote italiane, “nomi cancellati e dimenticati che vogliamo riportare alla luce. Sarà il mio contributo alle celebrazioni dell’unità del mio Paese”.
L’Espresso 23.04.10