Genova, Torino, Roma, Palermo, da un ateneo all’altro rimbalza la protesta dei ricercatori universitari. “Abbiamo votato all’unanimità l’astensione dall’attività didattica – afferma Marco Merafina, il coordinatore nazionale – La riforma in discussione in Parlamento non ci riconosce lo stato giuridico di docenti, perciò dal prossimo anno accademico ci rifiuteremo di fare lezione. Solo i nuovi ricercatori, che ora hanno il contratto “a tempo”, se confermati potranno diventare associati. Per noi c’è il blocco di carriera, ma non abbiamo alcuna intenzione di andare in estinzione come i dinosauri”.
Merafina sostiene che “migliaia di ricercatori rischiano di restare su un binario morto perché esclusi dalla possibilità di diventare docenti, pur avendo supplito per anni alle carenze degli atenei”. Un problema che il governo sembra voler risolvere con una modifica del ddl che ora è all’esame della Commissione cultura in Senato. “La modifica, comunque, escluderà ogni forma di ope legis – spiega il relatore della riforma, il senatore Giuseppe Valditara – Il nodo deve essere sciolto, perché la disparità è ingiusta. Però deve essere chiaro che non può diventare professore associato un ricercatore che non consegua l’abilitazione nazionale e che non abbia i titoli”.
Intanto sugli atenei incombe la minaccia dell’astensione dei ricercatori dalla didattica, astensione che può avere conseguenze pesanti. Per essere autorizzato al funzionamento ogni corso di laurea deve avere un numero minimo di docenti. Ma siccome gli ordinari e gli associati non bastano a garantire il numero minimo, senza l’apporto dei ricercatori molti corsi sono a rischio.
“La nostra defezione sarà a tappeto – sostiene ancora Merafina – perciò in quasi tutti gli atenei ci saranno corsi di laurea che non avranno più i requisiti minimi e saranno costretti a chiudere. La nostra protesta, ovviamente, non riguarda solo lo stato giuridico, ma include tutto: dai problemi della ricerca alla mancanza di fondi, dal precariato irrisolto ai prepensionamenti”. Quanto all’astensione gli effetti saranno immediati, poiché i presidi nelle prossime settimane dovranno presentare l’offerta formativa per il nuovo anno accademico. Inevitabilmente accadrà che senza avere la garanzia dei numeri richiesti dal regolamento molti corsi non potranno essere confermati.
“La riforma – accusa ancora il coordinatore dei ricercatori universitari – articola la docenza in due fasce, quella degli ordinari e quella degli associati, a noi avrebbero dovuto riconoscere il ruolo di associati ma non ci pensano affatto. Eppure ci hanno sempre chiesto di fare didattica (che in teoria non ci dovrebbe riguardare). Per tutto questo la mobilitazione non si fermerà, chiediamo che venga riconosciuto il nostro merito scientifico e il diritto a essere inquadrati nella nuova seconda fascia, anche perché per anni abbiamo supplito alle tante carenze degli atenei”.
Il Messaggero 19.04.10
Pubblicato il 19 Aprile 2010