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"Nonsense regionalista sulla scuola", di Annamaria Palmieri

È certo una cattiva abitudine di questo paese ragionare su questioni di capitale importanza in termini spesso inadeguati e superficiali. Un esempio degli ultimi giorni: la questione della qualità della classe docente, che pure costituisce un nodo dello sviluppo culturale e produttivo della nazione. L’ultima trovata viene dalla Lega: apprendiamo dell’intenzione di modificare su base regionale il reclutamento da graduatoria, in modo che al nord ‘finalmente’ prendano l’agognato “posto di ruolo” docenti puramente nordici, ovvero residenti all’interno della regione. Non sto neanche per un attimo a commentare a che livello la proposta leghista cozzi con gli ordinamenti dello Stato e della Costituzione: ci siamo tristemente abituati allo “stato d’eccezione”come condizione normale attraverso cui in Italia si esplica la gestione del potere politico. Le argomentazioni addotte dalla Lega sono due: la presunta necessità di garantire continuità didattica agli studenti, giacché i docenti di origine meridionale avrebbero il cattivo vizio di prendere posto al Nord e di volersi poi ritrasferire al sole lasciando le cattedre vacanti. La seconda, per così dire “perequativa”, nascerebbe dalla difficoltà dei docenti settentrionali iscritti nelle graduatorie a trovarsi in posizione utile per l’assunzione, essendo i rivali meridionali molto più “titolati”, sia per maggiore anzianità di carriera (leggi: più anni di precariato) sia per il possesso di molti e discutibili titoli di specializzazione. Riguardo alla cosiddetta “transumanza”, appare abbastanza evidente che i politici leghisti non si occupano di scuola da tempo, almeno da quando, prima delle “razionalizzazioni” dettate ai ministri Moratti e Gelmini da Tremonti, le graduatorie potevano forse garantire ai docenti un reclutamento stabile: sono anni, infatti, che la scuola subisce riduzioni di tale entità che l’unica assunzione consentita ai precari è per supplenze brevi o incarichi a tempo determinato. Questa modalità non consente certo al ‘cinico’ meridionale di accaparrarsi posti per giocarseli altrove: la supplenza breve o la si accetta laddove c’è, o la si perde. Per contro-argomentare, propongo solo due linee di riflessione ai nostri illuminati governanti:
1°) il mestiere di insegnanti, di fronte alle sfide della società complessa, non si improvvisa, e richiede ben altro impegno che quello di garantire una sorta di potestas loci, di diritto legato al suolo: richiede investimenti ideali e culturali che spingano la classe docente a farsi comunità ermeneutica, mediatrice di competenze culturali per la cittadinanza europea, non regionale
2°) È vero, un docente ha bisogno di essere radicato in una realtà scolastica nella quale condividere con altri una visione dei valori e della cultura, e una buona qualità del lavoro: ma questo non accade trattando i nuovi reclutati come numeri.

* Presidente CIDI Napoli

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