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"Bossi fa la revolution pure a scuola", di Lucilla Quadri

Non solo riforme costituzionali, nel mirino della Lega c’è anche la scuola. Rinvigorito dagli ultimi risultati regionali, il partito di Bossi è pronto a mettere mano all’istruzione con una mini-rivoluzione che la deputata Paola Goisis ha già presentato a Montecitorio. Una risposta alle richieste dei leghisti lombardi e friulani che vogliono strumenti per dare la precedenza nelle assunzioni ai loro docenti: la proposta di legge prevede albi regionali degli insegnanti con obbligo di residenza sul territorio per gli iscritti, concorsi su base territoriale con punteggi più alti per i residenti, impossibilità di chiedere il trasferimento nei cinque anni successivi all’assunzione. Ma non solo: la pdl include la riforma degli organi collegiali della scuola, il trasferimento di tutto il personale scolastico alle regioni insieme agli ex provveditorati, l’istituzione di organismi di valutazione territoriali del sistema di istruzione, la possibilità per le scuole di ricorrere a fondi di privati e ai genitori per poter sostenere le proprie attività.

I temi in ballo sono tali da poter parlare di una mini riforma in salsa leghista. Il Carrocio ci crede e procede a testa bassa. Nervi tesi, invece, con il Pdl: la legge Goisis fa lo sgambetto alla quella sul reclutamento dei docenti della berlusconiana Valentina Aprea, da due anni alla Camera. Una proposta affossata proprio dalla Lega che voleva introdurre test di cultura del territorio nelle procedure di assunzione degli insegnanti. Ora, dopo le regionali, è tutta un’altra storia, il Carroccio fa da solo con una pdl di 42 articoli che parte da un assunto: basta con l’equazione «scuola uguale Stato». All’articolo 1 la legge prevede infatti il trasferimento del personale in capo alle Regioni che dovranno occuparsi di reclutamento, stato giuridico e trattamento economico dei dipendenti con i soldi che lo Stato verserà, sulla base di costi standard, alle diverse realtà territoriali. Le Regioni dovranno poi emanare appositi piani per l’istruzione, occuparsi del controllo e della valutazione delle attività educative, assegnare le risorse al sistema. Niente più uffici scolastici provinciali e regionali: saranno sostituiti dal Centro servizi amministrativi per la comunità scolastica territoriale. Quanto al reclutamento, saranno le scuole a comunicare i posti vacanti. I docenti, per accedere a supplenze e assunzioni, dovranno iscriversi in appositi albi regionali aperti ai residenti. L’accesso prevede anche il superamento di un test. Posto fisso? Solo per chi supera il concorso regionale. I bandi saranno emessi con cadenza triennale. È prevista una prova orale, ma anche la residenza farà titolo: i vincitori che abbiano prestato servizio «con continuità per periodi non inferiori a tre anni» nelle scuole della Regione «possono usufruire di uno specifico punteggio». Quanto ai neo assunti, dovranno garantire «la permanenza effettiva per almeno cinque anni» nella nuova sede. Albi regionali sono previsti anche per i presidi. Ogni Regione avrà poi un comitato di valutazione del sistema scolastico.
ItaliaOggi 13.04.10

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“Ma l’Unione europea potrebbe stoppare il progetto”, di Antimo Di Geronimo

Albi regionali per l’assunzione dei docenti, l’ostacolo viene dall’Europa. Il 30 marzo scorso, Paola Goisis, deputato della Lega, ha presentato un disegno di legge (C3357) che prevede la costituzione di albi regionali per l’assunzione dei docenti nelle scuole statali.

La ratio della proposta di legge sarebbe quella di favorire la stanzialità del corpo docente, evitando che i docenti del Sud possano andare al Nord per incassare più facilmente l’immissione in ruolo. Salvo poi rifare le valigie e tornare a casa.

Il disegno di legge si inquadra nel recente orientamento del legislatore, che ha informato anche le ultime disposizioni ministeriali sul divieto di trasferimento per i precari da una graduatoria provinciale ad un’altra e il relativo inserimento in coda in ulteriori 3 province. Istituto che, peraltro, non ha avuto fortuna. Perché ha ingenerato una serie di sentenze di annullamento da parte del Tar del Lazio. Questa volta, però, a mettere i bastoni fra le ruote ai propositi di Umberto Bossi potrebbe essere l’Unione europea. Il disegno di legge Goisis, infatti, se approvato, potrebbe risultare in contrasto con la normativa sovranazionale. Che prevede , invece, la rimozione di ogni ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori. Anche nella pubblica amministrazione. Tale è l’orientamento della stessa Corte di giustizia europea (173/96 e 290/96) che, peraltro, ha indotto il legislatore italiano a conformarsi con ben 3 provvedimenti. Il primo è il decreto legislativo 29/93, con il quale è stato sancito che i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche italiane (oggi questa norma è contenuta nell’articolo 38 del decreto legislativo 165/2001). Il secondo è il decreto del presidente della repubblica 487/94, che all’articolo 2 consente ai cittadini comunitari di partecipare ai concorsi per accedere al pubblico impiego. E infine il terzo è il decreto del presidente del consiglio dei ministri 174/94, che all’articolo 1 individua tassativamente le qualifiche per le quali è obbligatoriamente prevista la cittadinanza italiana. Escludendo che ai cittadini europei possa essere vietato di andare ad insegnare in qualsivoglia stato membro dell’Unione europea. Il problema si era già posto per le graduatorie a esaurimento, il cui accesso è ordinariamente consentito a tutti i cittadini comunitari, mentre non è più permesso ai cittadini italiani. Ma il ministero dell’istruzione ha risolto la questione prevedendo quale requisito accessorio, comunque obbligatorio, il possesso dell’attestato di conoscenza della lingua italiana rilasciato dall’università per stranieri di Perugia. Resta il fatto, però, che si tratta di un provvedimento ministeriale. Nel caso in questione, invece, si tratterebbe di una norma di legge, che potrebbe porre problemi anche in termini di legittimità costituzionale. Perché l’articolo 117 della Costituzione impone al legislatore italiano di rinunciare a parte della propria sovranità conformandosi all’ordinamento sovranazionale.
ItaliaOggi 13.04.10

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