Lo Statuto dei lavoratori compie quarant’anni: è ora di cambiarlo. “Entro maggio – garantisce il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi – presenterò un testo nuovo”. Applaude la platea degli industriali italiani, certamente pensando alla scomparsa di quelli che Guido Carli definiva nel 1977 “i lacci e i lacciuoli” che imbrigliano l’economia e i profitti.
Il ministro non spiega quali saranno le linee del nuovo Statuto destinato a sostituire “entro tre anni”, la legge 300 scritta da Gino Giugni nel 1970. Certamente, garantisce Sacconi, la nuova legge servirà a “completare la liberazione dall’oppressione burocratica, da tutto quello che genera conflitto e dall’incompetenza che minaccia l’occupabilità”. Tradotto in concreto significa la conferma del sistema di arbitrato per i licenziamenti.
Il testo del provvedimento, contestato dalla Cgil come una norma che di fatto aggira l’articolo 18 dello Statuto, verrà ripresentato dopo la prima bocciatura di Napolitano: “Aggiusteremo velocemente quel testo – dice Sacconi – confermando l’utilità di un arbitrato che è una opportunità in più per i lavoratori e le imprese rispetto al grande contenzioso esistente”. Il secondo punto è la prevedibile modifica della legislazione sullo di sciopero nel tentativo di far scendere la conflittualità nelle aziende. Il terzo è un nuovo sistema di formazione professionale. “In ogni caso – spiega il ministro – il provvedimento verrà varato dopo i necessari passaggi con le parti sociali”. Una trattativa che potrebbe avvenire proprio a maggio, a ridosso delle celebrazioni per i quarant’anni dello Statuto oggi in vigore.
Ma soprattutto il nuovo Statuto dovrebbe modificare radicalmente il sistema di contrattazione stabilendo alcune regole valide per tutti a livello nazionale (specie in materia di salute e sicurezza) e un’ampia delega alla contrattazione decentrata a livello di territorio e di singole aziende. Una spinta in più verso la perdita di peso del contratto nazionale di categoria a vantaggio della contrattazione di secondo livello.
Così facendo, si otterrà maggiore flessibilità e si modificherà una mentalità diffusa: “Occorre – dice Sacconi – lavorare anche sulla cultura dei giovani: bisogna aiutarli ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, anche il più umile, purché sia regolare. Solo così si potrà difendere la vera cultura del lavoro”. Rivalutando il lavoro manuale, si potrà “battere il nichilismo delle generazioni degli anni ’70 che sono entrate nei mestieri dell’educazione, della magistratura e dell’editoria non tanto per occupare, come diceva Gramsci, le casematte del potere, quanto, come si dice a Roma, per infrattarsi, perché è sempre meglio che lavorare”.
Le frasi di Sacconi, laureato in giurisprudenza, provocano la reazione delle opposizioni. Cesare Damiano, suo predecessore, attacca: “Invece di offendere in una sola frase centinaia di migliaia di italiani impegnati nell’editoria, nella magistratura e nella scuola, il ministro dovrebbe fare il suo mestiere e occuparsi del fatto che il nostro Paese, come dicono i dati di Confindustria, è fermo”. Il Pd annuncia anche l’ostruzionismo sull’arbitrato e giudica “preoccupante” l’intenzione del ministro del lavoro di modificare lo Statuto dei lavoratori.
La Repubblica 11.04.10