I primi a mettere a segno un punto sono stati i farmacisti, poi è stata la volta dei taxisti di Roma, quindi a farsi sotto sono stati gli avvocati. Dopo il voto del 2008 ai partiti hanno fatto questo ragionamento: noi appoggiamo i progetti di riforma della nostra professione ma voi cancellate il divieto di fissare tariffe minime che ci ha imposto Bersani. E adesso che si entra nel vivo, con la riforma delle professioni che avanza in Parlamento (rischiamo una procedura d’infrazione per non avere ancora recepito una direttiva Ue del 2005) e quella sull’attività forense in avanzato stato di elaborazione, tutti gli interessati (non solo gli avvocati, ma anche ingegneri, architetti, ecc ecc.) vogliono passare all’incasso. Per giovedì prossimo il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha convocato gli Stati generali delle professioni, dando per scontato che «in cambio» della nuova legge quadro i tetti tariffari aboliti dal centrosinistra saranno reintrodotti. «Bisogna superare i trattamenti punitivi introdotti col decreto Bersani» ha detto il Guardasigilli strizzando l’occhio ad una platea di 2 milioni di persone che origina circa il 12,5% del Pil nazionale. Salvo poi frenare: ieri, dopo una levata di scudi che va dall’Antitrust ai consumatori, dal Pd alla Confindustria, Alfano ha dato un colpo al cerchio ed uno alla botte.
«Vogliamo garantire ai cittadini il servizio più affidabile e al tempo stesso dignità e prestigio dei professionisti italiani» ha detto. Se andasse in porto questa sarebbe però l’ennesima spallata al processo di apertura della nostra economia. Un colpo si spugna sulla prima «lenzuolata» di Bersani. Ma non è un mistero che le liberalizzazioni, complice la crisi economica galoppante, non siano mai entrate nell’agenda dell’attuale governo nonostante gli impegni elettorali. E così le lobby hanno trovato nuovi spazi mentre nelle retrovie in molti si sono messi al lavoro per ristabilire lo status quo: il Parlamento è stato inondato da una quarantina di proposte di legge per istituire nuovi ordini o smantellare le riforme del centrosinistra. Tra i primi a muoversi il capogruppo Pdl in Senato Maurizio Gasparri che si è subito speso per tornare a irrigimentare la distribuzione dei farmaci, mentre i taxisti di Roma hanno trovato nel sindaco Gianni Alemanno l’interlocutore ideale. Mai decollato il progetto di controllare le presenze effettive delle auto pubbliche in servizio nella capitale e via libera agli aumenti delle tariffe: gli ultimi andati in porto nelle scorse settimane. Significativo il caso delle professioni: il rapporto sul settore presentato a inizio 2009 dall’Antitrust, di fatto un monitoraggio dettagliato categoria per categoria (avvocati, notai, ingegneri, architetti, psicologi, veterinari, agronomi, ecc. ecc.) per vedere come avevano recepito le novità degli ultimi tempi, ha dato pessimi esiti. Dall’abolizione delle tariffe minime alla cancellazione del divieto di farsi pubblicità sino alla possibilità di costituire società multidisciplinari, tutti gli ordini monitorati (13) hanno fatto muro. Hanno sì modificato i loro statuti come prevedeva Bersani ma reintroducendo surrettiziamente nuovi vincoli. Si comportano ancora «come caste» sintetizzava il rapporto: refrattarie ad ogni innovazione in grado di favorire la concorrenza nei loro settori.
Per Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, l’attuale maggioranza «sa che i professionisti sono una sua constituency molto forte, e cerca di fare per loro ciò che immagina essi vogliano. Il problema è che dietro questo comportamento c’è una forte miopia, perché di fatto l’introduzione dei minimi tariffari penalizza i giovani e gli outsider, e in ultima analisi va a ridurre l’efficienza con cui i servizi professionali vengono offerti. Per come è fatto il mondo – aggiunge – i servizi dovrebbero diventare sempre di più un nostro punto di forza: nel momento in cui giochiamo a preservarli il più possibile dalla concorrenza, è improbabile che questo accada. Non è detto che la difesa dello status quo sia, nel medio periodo, davvero nell’interesse dei professionisti». Sull’altro fronte, a cominciare da avvocati ed ingegneri, in assoluto i più agguerriti, tutte le associazioni sostengono che l’aver abolito le tariffe minime ha solamente favorito i più forti, i grandi studi legali, le grandi società di progettazione. E penalizzato i più deboli, dai giovani che cercano di accedere alle professioni agli utenti. Le associazioni dei consumatori protestano: «Non si può tornare indietro». E protesta il Pd. «Il governo antepone calcoli elettorali all’interesse del Paese» sostiene il responsabile economico Stefano Fassina. «Oggi l’Italia è fuori dall’Europa – ribatte Maria Grazia Siliquini (Pdl), relatrice alla Camera della legge sulle professioni -. Dobbiamo rimediare ai pasticci del governo Prodi ed evitare che i cittadini finiscano alla mercè di operatori abusivi». Per Mingardi «il processo di riforma non può essere un gioco a somma zero: se tu accetti di allargare le maglie degli ordini, io ti restituisco i minimi tariffari. Dovrebbe esserci un disegno coerente. Se l’obiettivo è rendere più competitivo il mondo dei servizi, il ritorno dei minimi tariffari è un passo indietro».
La Stampa 11.04.10
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