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C’è qualcosa di nuovo, anzi di antico … nelle Indicazioni dei Licei

Un ritorno al liceo anni cinquanta.
In sala insegnanti i più giovani stanno calcolando le ore dei nuovi licei. Chi salterà il prossimo anno? La professoressa Orsoni non ha questi problemi, è tra le prime in graduatoria, un anno ancora poi l’agognata pensione. Può ignorare i quadri orario e “godersi” le nuove Indicazioni.

Gli occhi vanno veloci al programma di letteratura italiana, il solo che tutti a scuola sanno comparare con l’esistente. Se si parla di equazioni, per carità …, ma di letteratura chi non si ricorda le “Tre Corone”? “Dante, Petrarca e Boccaccio”; “Ariosto, Macchiavelli e Tasso”; “Goldoni, Parini e Alfieri”; “Foscolo, Manzoni e Leopardi”; “Pascoli, Carducci e D’Annunzio”.

Legge….

Un brivido lungo la schiena, un’emozione intensa.
Chiude gli occhi. I suoni, i rumori, le voci scompaiono.
Una porta si apre e si richiude, 31 alunni scattano silenziosi in piedi.
Che fascino quel professore, classe 1920, che voce calda e pastosa …
“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti …”
Li rivede tutti, i compagni; riaffiorano tutte, le ansie, le risate, le sofferenze, le gioie. E gli odori.

“Dobbiamo finire le rubric e le prove standardizzate per la certificazione delle competenze!” sta tuonando la giovane collega Maggioli.

Di colpo la professoressa Orsoni da quella mitica 1^ A di quasi 50 anni fa è catapultata in Sala Insegnanti modello 2010. Un balzo che stordisce.

Guarda la collega infervorata sulle competenze, sorride, non dice nulla, non vuole deludere gli ardori di questi giovani insegnanti impegnati. Ma in cuor suo se la ride, lei a questa storia delle competenze non ha mai creduto. E a settembre torneranno i programmi, se Dio vuole, i soliti bei compiti, le belle interrogazioni, i bei voti numerici. Ma che rubric, ma che punteggi in prove standardizzate! Divagazioni, solo divagazioni insensate.

E rilegge, ora ad occhi aperti, quel bel programma di letteratura italiana dei Nuovi Licei che è proprio identico a quello che studiò lei al suo liceo, di cui le è rimasto impresso soprattutto il professore, bello e fascinoso come Clark Gable.

Il programma di letteratura italiana dei nuovi licei
LICEI (Tutti) PRIMO BIENNIO
Letteratura Italiana
(………………………………………………………………..)
Il primo anno comprenderà l’incontro, attraverso traduzioni italiane, con porzioni significative di opere che siano insieme fondative per la civiltà occidentale e radicate − magari in modo inconsapevole − nell’immaginario collettivo, così come è andato assestandosi nel corso dei secoli (l’Iliade, l’Odissea, la tragedia attica del V secolo, l’Eneide).
Nel secondo anno si dovrà affrontare la lettura dei Promessi Sposi del Manzoni, ossia di un grande classico che, oltre all’eccellenza artistica (e alla ridotta distanza linguistica rispetto alla competenza media di un adolescente), rappresenta un momento centrale dell’identità culturale italiana.

Alla fine del primo biennio si porranno le basi per lo studio storico della nostra letteratura, tracciando un quadro, agganciato ad alcune letture di testi, dell’ambiente culturale che vide sorgere le prime importanti espressioni letterarie italiane: la letteratura religiosa, i siciliani, i siculo-toscani.

Il 2° biennio ha lo stesso grado di innovatività:
“Dante, Petrarca, Boccaccio”; “Ariosto, Machiavelli, Tasso”; “Goldoni, Parini, Alfieri”; “Foscolo, Manzoni, Leopardi”;

E il 5° anno non è da meno:” Pascoli, Carducci e d’Annunzio”; “Verga, Svevo e Pirandello”, “Montale, Ungaretti e Saba”. Poi la lirica post-ermetica, quindi Calvino, P. Levi, Fenoglio, Gadda e altri autori a scelta dalla stagione neorealistica ad oggi, con possibili letture anche di pagine dei maggiori dialettali dell’Otto e del Novecento.

E sull’orario di lingua e letteratura italiana: dal classico al musicale, dallo scientifico all’artistico, 132 ore annue (4 ore settimanali) per ciascuno dei 5 anni, rigorosamente uguali per tutti i licei.

In tutto questo c’è una cosa molto preoccupante: il lavoro fatto per le indicazioni degli istituti tecnici non solo non ha prodotto nessuna contaminazione nei confronti dei licei, ma sta succedendo il contrario. E’ gia stato detto che le indicazioni dei tecnici saranno costruite su quelle dei licei e naturalmente anche quelle dei professionali …

Un cambio di egemonia: il fallimento della pedagogia progressista
Non vi è dubbio che si sia chiusa un’epoca. L’epoca che a partire dalla media unica e dalla Legge 4 agosto 1977, n. 517 (“Norme sulla valutazione degli alunni e sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico”), ha visto l’elaborazione e l’avvio di innovazioni anche coraggiose nel primo ciclo.

Quella stagione, caratterizzata dall’unità della sinistra socialista e dei cattolici, si è chiusa con il fallimento della pedagogia progressista in Italia.

Oggi siamo in presenza di un vero e proprio cambio di egemonia culturale, un ritorno all’antico.

Una cultura che appare insensibile di fronte alla rivoluzione che sta avvenendo nei modi di apprendere delle nuove generazioni; miope di fronte alla crisi della tradizionale ripartizione disciplinare; cieca di fronte all’insostenibilità di un’organizzazione scolastica rimasta immutata dai tempi della Ratio Studiorum dei Gesuiti del 1599; estranea ai cambiamenti indotti dalla rivoluzione scientifica e tecnologica e da una economia sempre più fondata sulla conoscenza; ostile di fronte alle trasformazioni della globalizzazione.

Una cultura ancorata a una tradizione pseudo meritocratica, che gioisce dell’aumento delle bocciature, segno di rinnovato “rigore”, che risolve l’annosa questione valutazione-certificazione con la reintroduzione dei voti numerici e che assegna ai 5 in condotta la soluzione di ogni forma di devianza.

Una cultura che rivendica programmi rigidamente precostituiti, che non lascia spazio alcuno alle opzioni degli studenti, in contrasto con tutti gli altri Paesi europei.

Un’egemonia inossidabile, che persiste nell’identificare la Cultura con la cultura letteraria ed il latino.

Una cultura che respinge con supponenza le raccomandazioni dell’Unione Europea e che rifiuta a priori qualsiasi comparazione con le riforme e le innovazioni degli altri Paesi.

Il buco nero della scuola media

Dove comincia il fallimento della politica riformatrice e progressista?
Non vi è dubbio che la prima drammatica caduta sia rappresentata dalla scuola media unica, anche se è doloroso dirlo.

La scuola media è un delicatissimo anello di congiunzione tra scuola elementare e secondaria superiore, un segmento dell’istruzione che ha mantenuto irrisolti i propri problemi, non solo in Italia.

Il sociologo progressista François Dubet così denuncia il fallimento della scuola media francese (il collège, di 4 anni ):

“Il collège era, e resta, una contraddizione insormontabile. Da un lato è la scuola di tutti, quella della scolarità obbligatoria. Dall’altro, è una sorta di ginnasio nei programmi e nei metodi. E’ pensato in termini di “eccellenza per tutti” che è una formula paradossale che conduce di fatto alla marginalizzazione dei più deboli.” E ancora: “Non si può giudicare il valore di un sistema scolastico se non si tiene conto della situazione dei più deboli. La questione cruciale è sapere quali sono le competenze fondamentali che devono acquisire i più deboli. In Francia si accetta l’idea del salario minimo garantito, di un livello essenziale di assistenza sanitaria, di garanzie minime per l’alloggio per tutti, ma un ragionamento simile non passa nel mondo della scuola”.
E tantomeno passa in Italia. E non bisogna sottovalutare il fatto che i programmi che vanno prefigurandosi per i licei avranno inevitabilmente ripercussioni anche sulla secondaria di 1° grado.

Gli insegnanti, guardiani della conservazione
La scuola appare oggi come un sistema impermeabile del quale gli insegnanti sembrano i più tenaci guardiani.

Dopo anni di retoriche, i docenti , nella grande maggioranza, chiedono di essere lasciati in pace.

Gli insegnanti della scuola secondaria scontano l’assenza di una cultura, di un’etica e di un senso di appartenenza professionale. La fine della breve stagione delle SSIS ha segnato un grave punto di arresto. E non vi è dubbio che la mancata formazione iniziale sia una delle cause di questo vuoto.

Da decenni non c’è uno stato giuridico che valorizzi la loro professionalità; da decenni si discute a vuoto di un’articolazione della loro carriera che crei una leadership intermedia a sostegno dei processi riformatori; da decenni incombe il precariato senza che si trovi una via per risolverlo privilegiando il merito.

L’auspicio di una nuova era
La situazione è allarmante. Non si può continuare ad improvvisare. Occorre un cambio di strategia da parte dei partiti di governo e di opposizione.

Le elezioni sono state consumate.
Sulla scuola cessi la rissa e si affrontino insieme nel merito i problemi.
Occorre una pausa di riflessione. E se non si vuole fermare la macchina delle prime classi, si abbia almeno il buon senso di bloccarla lì, e di non intaccare le classi successive alla prima.

Infine si assuma la questione degli insegnanti come emergenza nazionale.

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