«Riforme, sì a uno stralcio su Senato federale e riduzione dei parlamentari». «Innanzitutto vorrei sgombrare il campo da una versione caricaturale di alcune mie parole: io, dopo le Regionali, non ho cantato vittoria. Ho ammesso la nostra delusione e non ho mai nascosto la mia preoccupazione, che deve riguardare tutti, perché queste elezioni hanno rivelato il distacco che c’è tra la società italiana e la politica». Prima di parlare di qualsiasi argomento Pier Luigi Bersani vuole fare questa puntualizzazione. Ci tiene: «Comunque — aggiunge — è stata fatta un’analisi non veritiera: se si ha la pazienza di guardarsi i numeri, prendendo come riferimento le Europee, ci si rende conto che il Pdl perde 4 punti, che la distanza tra centrodestra e centrosinistra si è dimezzata, che solo due partiti sono andati avanti, di poco, la Lega di più ma senza compensare il calo del Pdl».
Che farà ora il Pd?
«Il Pd può riprendere il suo cammino se ha come punto di riferimento l’Italia. Il che significa che si deve partire dai temi economici e sociali. E in particolare da due questioni: primo, dall’indebolirsi del tessuto connettivo di questa nostra nazione, dove ormai rischia di vigere il si salvi chi può; secondo, dalle pessime prospettive di lavoro delle future generazioni. Il Paese sta facendo tutto il necessario per affrontare questi problemi? No, non stiamo mettendo a fuoco come priorità i temi economici e sociali e non stiamo facendo un patto nazionale per l’emergenza crisi. Ma se noi scantoniamo questo problema per affrontare mille altre pur nobili questioni il distacco tra società e politica diventerà enorme».
Le altre pur nobili questioni sarebbero le riforme istituzionali: perché non incontra Berlusconi?
«Ho già detto che se si vuole parlare di misure immediate per alleggerire i colpi di questa crisi e discutere sul serio di un pacchetto di riforme in campo economico e sociale, io vado veramente a piedi ad Arcore. Io non ho difficoltà a vedere Berlusconi, è normale che il capo del governo e quello dell’opposizione si incontrino, ma per cose serie, non per un chiacchiericcio che alimenta la confusione già esistente ».
A proposito di misure, il governo ha cancellato il suo operato e ha reintrodotto le tariffe minime.
«E’ un segnale negativo per l’Italia perché vuol dire “ognuno pensi per sé” ed è un sintomo di chiusura verso le nuove generazioni».
Ma lei quali interventi urgenti farebbe?
«Un intervento urgente si può fare a partire da due cose: investimenti locali e green economy. E poi ci vogliono un po’ di soldi in tasca subito per i redditi bassi. E da domani un confronto su riforme strutturali che riguardino economia e politiche sociali. Dopodiché, nessuna obiezione se le commissioni parlamentari si confrontano su temi istituzionali. Ma anche su questo vorrei ristabilire la verità. In questo momento sulla materia esistono un progetto di legge Finocchiaro-Zanda consegnato al Senato e uno Bressa, identico, depositato alla Camera. Quindi una bozza del Pd esiste sul serio, fondata su un forte concetto di governo parlamentare, non c’è solo la bozza Calderoli che non è nemmeno giunta in Parlamento. Tra l’altro mi pare che nella destra si debbano chiarire prima le idee tra di loro perché se ne sentono di tutti i colori. Su due cose, però, ci par di capire che sono d’accordo: Senato federale e riduzione del numero dei parlamentari. Sono proposte contenute nei nostri progetti di legge. Perciò potremmo stralciare questi punti e approvare una legge in tempi rapidi».
E il semipresidenzialismo?
«A un Paese in cui gli elementi connettivi si sono lacerati, in questa bozza viene proposto un confuso percorso federale. E noi pensiamo che di fronte a tutto questo, il punto di equilibrio possa essere un presidente frutto di una contesa politica? Questa impostazione mette in gioco la Repubblica».
L’elezione diretta del presidente c’è in Francia.
«Il sistema prospettato da Calderoli non c’entra niente con la Francia. Per carità, sostenere il semipresidenzialismo è legittimo, ma in Francia non c’è il federalismo immaginato dalla Lega. E a proposito dell’elezione diretta del capo dello Stato, vorrei dire a chi avesse interesse a farsi vestiti su misura che noi non siamo una sartoria. Se Berlusconi la pensa così si cerchi una sartoria da un’altra parte».
Fini dice: rafforzare il Parlamento, cambiare legge elettorale.
«Chi si pone in modo sensato il tema del presidenzialismo in un sistema di tipo federale deve per forza fare un elenco tale di pesi e contrappesi di cui non si fa cenno nella bozza, e non basta certo una legge elettorale. Penso che i più consapevoli di loro abbiano il tema ben presente perché in realtà non si parlerebbe di Francia ma di Usa».
Berlusconi, però, non sembra voler cambiare la legge.
«E io non voglio fare un anno di chiacchiere. Mi si dica subito se si ritiene o no che si debba cambiare la legge. Poi ci possono essere varie soluzioni per me abbordabili: i meccanismi elettorali non sono un totem».
E allora perché non parla di legge elettorale con Berlusconi?
«Con quale credibilità viene a dire “parliamo con l’opposizione”, dopo 30 voti di fiducia e 50 decreti che hanno svilito il Parlamento?».
La Lega, comunque, si è intestata la mediazione con voi.
«La Lega è un partito del 12 per cento, che ha avuto un aumento e che è riuscita a prendere la presidenza di due fondamentali regioni. La Lega è alla prova di una nuova responsabilità. Noi parliamo di riforme con la maggioranza e non abbiamo problemi a parlare con chi verrà incaricato di farlo. Mi pare che in casa loro ci sia qualche perplessità ad affidare a chi ha insultato il tricolore il ruolo di portabandiera. Noi siamo sempre stati autonomisti e federalisti, ma vogliamo essere il partito della nuova unità della nazione. Noi perciò diciamo alla Lega che tutti gli italiani devono avere parità nei diritti essenziali di cittadinanza e temiamo invece che i meccanismi ipotizzati da Calderoli deroghino da questi principi. Insomma, è sicuramente apprezzabile che la Lega voglia discutere con l’opposizione ma devono convincersi che federalismo significa costruire l’unità della nazione».
Perché non appoggiate il referendum sul legittimo impedimento?
«La strategia del referendum non è la nostra strategia in queste condizioni: si è visto che non porta risultati, perché ormai non si raggiunge più il quorum, e così si rischia l’effetto boomerang. Perciò presenteremo una nuova legge sull’istituto referendario. Ciò detto, ribadisco la nostra ferma contrarietà al legittimo impedimento ».
Il Corriere della Sera 09.04.10