Almeno tre sono stati gli esiti negativi delle recenti elezioni regionali: flessione di partecipazione, riconfermata debolezza del Pd, e deludente performance di chi ha voluto trasformare la campagna elettorale in un lotta ringhiosa e vuota di argomenti politici. Con l´enorme impiego di mezzi e uomini profuso dal presidente del Consiglio ci si sarebbe attesi una vittoria dilagante del suo partito, una valanga di voti. Ma così non è stato. Il centrodestra ha vinto grazie alla Lega non al Pdl. Questo è certamente il dato più importante di queste elezioni regionali, ed è speculare alla debolezza strutturale del Pd: la crescita della Lega al Nord, una crescita forte. Una crescita maturata a spese tanto dei suoi naturali avversari quanto dei suoi alleati di governo. Una crescita che, come ha suggerito Ezio Mauro su questo giornale, pare destinata a continuare e che deve fortemente preoccupare la sinistra, soprattutto in quelle aree immediatamente a sud del Po, quelle tradizionalmente rosse dell´Emilia-Romagna. Perché qui si gioca la partita del futuro non solo o tanto del Pd ma della natura stessa della democrazia italiana.
Proviamo quindi a leggere uno dei dati negativi – la debolezza del Pd – alla luce della vittoria della Lega, l´unico partito politico nel senso tradizionale del termine sulla scena nazionale. Nel Nord la Lega si è trovata a competere direttamente con il Pd, perché è in queste regioni che il Pd ha la sua più radicata storia, che è, se così si può dire, ben presente sul territorio. Ma nel Nord la Lega è stata protagonista a tutto campo, molto più attiva della sinistra, la cui presenza è nelle istituzioni locali e nelle organizzazioni sociali, ma non nel mondo ampio della politica attiva e popolare. Al contrario, la Lega ha dimostrato ancora più organicamente che in passato di essere un vero partito – capace di fare comizi volanti, di costruire una presenza capillare, un rapporto diretto con gli elettori, non solo e non tanto nelle città ma anche nei piccoli centri della pianura emiliana: una strategia e forme della politica che erano un tempo del Pci. Politica militante, fatta da e di volontari con molta fede e pochissimi dubbi, con il loro tempo libero dedicato alla causa, capaci di articolare un discorso politico.
La Lega non è un paritto mediatico eppure va avanti. E´ un partito identitario che aggrega e fa sentire i suoi affiliati parte di qualcosa, di un mondo, di un´idea. Che, in sostanza, fa sentire l´importanza mai tramontata del linguaggio politico-ideologico. Un´importanza che il Pd non pare voler comprendere (e che, anche per questo, continua tra l´altro a non attirare i voti di chi è alla sua sinistra, una vera e propria iattura perché l´emorragia di quei voti è la causa prima della sua sconfitta).
La Lega fa strategia e sa farla: per esempio, usa un linguaggio radicalmente xenofobico e aggressivo dove è partito d´opposizione e usa una strategia riformista dove è partito di governo (anche in questo caso non può non venire alla mente il doppio binario ben noto al vecchio Pci). E´ un fatto indiscutibile che mentre grida contro l´immigrazione nelle regioni dove vuole mietere consensi, nelle regioni dove governa non solo c´è molta immigrazione ma c´è soprattutto una politica dell´integrazione.
Politica del doppio binario che denota un partito fortemente ideologico ma anche caparbio e ben conoscitore della terra dove opera e della prudenza strategica. A percorrere la via Emilia a nord di Bologna, tra Modena e Piacenza, in questa ricca terra costruita da un Pci che aveva un´idea di società ben chiara e un´altrettanto chiara idea di governo del territorio, a girare per queste città si sente la presenza in crescita della Lega. E´ questa ricca parte d´Italia che è a rischio leghista, anche perché la più minacciata dalla crisi e dalla chiusura di tante piccole aziende che trasferiscono i capitali dove le braccia da lavoro sono senza diritti e costano molto meno di qui, lasciando dietro di sé disoccupati italiani ma anche disoccupati immigrati, gente con il permesso di soggiorno, tollerata nel tempo delle vacche grasse e adesso rivale degli emiliani che temono il loro impoverimento. La nostra terra a noi, si sente dire sempre più spesso, mentre la presenza degli immigrati, meno visibile quando il lavoro c´era per tutti, oggi è insopportabilmente visibile.
Impossibili da condividere e terribili perfino da pronunciare, le parole della Lega riempiono il vuoto ideologico generato negli anni dalla politica organica del pragmatico status quo socialdemocratico. E´ facile trasformare i deboli in capri espiatori, in nemici; lo è ancora di più quando questi discorsi non trovano una sponda, quando chi dovrebbe arginarli è senza discorso. Come riuscire a dire che quella della Lega è un´ideologia sbagliata e aberrante? Chi può spiegare alla gente che i nemici sono non gli immigrati ma chi ha spolpato le risorse di questa terra e ora se ne va altrove?
Ma non è facile per la sinistra al governo nelle città emiliane rispondere all´offensiva della Lega. Anche perché la Lega non promette cambiamenti di programma economico-sociale; non dice che si devono togliere i servizi sociali, non fa un discorso liberista; promette invece di difendere questo modello e sostiene di poterlo fare meglio di chi lo ha creato. Perché mentre chi lo ha creato lo ha fatto in nome di valori universali di giustizia e eguaglianza, la Lega dice che per difenderlo occorre che solo la maggioranza goda di quei benefici; solo gli italiani, solo i locali; diritti che devono diventare privilegi; che è giusto che siano beni per e degli italiani. Del resto, quando la sinistra ha creato questo modello di buon governo gli uguali erano italiani, l´universalismo era facile da giustificare e comprensibile. Oggi lo è molto meno.
E in questa complessità la Lega propone un´ideologia semplice e ben strutturata. Essa ha ed è tutto quello che il Pd non ha voluto avere ed essere. Perché nelle intenzioni dei suoi fondatori, il Pd non doveva essere un partito, un attore collettivo con sezioni di partito e militanti; anzi, se ben ci si ricorda, il Pd è nato come un´alternativa a tutti i partiti identitari e contro l´ideologia. Qui sta la sua debolezza, ed è tragico e assurdo che i suoi leader di ieri e di oggi non vogliano capirlo.
Ma queste elezioni confermano quello che dicevamo all´indomani delle elezioni politiche del 2008: che l´ideologia è una componente indispensabile nel discorso politico democratico. Ma attenzione: ideologia politica non è lo stesso di polemica arrabbiata. Il Pdl per esempio ha un identità nel nome del capo e molta aggressività faziosa, ma ha una narrativa ideologica povera o molto approssimativa. La vittoria della Lega è anche contro questo modello di partito padronale e falsamente ideologico, oltre che contro un partito che non vuole essere un partito.
Una lezione che l´opposizione dovrebbe saper trarre da queste elezioni è dunque quella di coniugare politica della personalità e politica delle idee. Il suo modello non può essere quello di un partito non-partito; dovrebbe essere invece quello di un partito che sia capace di tenere insieme questi due fattori. Occorre una leadership politica nel senso vero della parola: che sappia proporre una narrativa politica, un progetto di governo migliore di quello esistente; e che sappia attirare e anche trascinare, preferibilmente con discorsi ragionati, comprensibili e politici. Leader capaci o carismatici insieme a ideali politici: poiché gli elettori devono sapere le ragioni del loro voto, che non possono essere solo di opposizione al presidente del Consiglio. Tenere queste due componenti, non puntare su una sola o una finzione di entrambe. Con una specificazione: che a sinistra non si può pensare di fermare la Lega imitandone i contenuti e il linguaggio, una tentazione che, lo si avverte nell´Emilia rossa, molti elettori di tradizione di sinistra hanno. Sul terreno del razzismo e della purezza etnica la Lega è inimitabile (per fortuna). Ma il modello del buon governo della società è altra cosa e ha dato e dà ancora ottima prova di sé in una parte molto importante e cruciale del nostro paese – ciò di cui questo modello ha bisogno è una narrazione, una capacità immaginativa che sappia proporre la soluzione ai problemi che la crisi economica crea e sta creando. Una politica di riconversione industriale che sappia dare un´alternativa a lavoratori che hanno grandi competenze; di rilancio del modello di democrazia sociale, uno dei migliori d´Europa. E´ una sfida bella dopo tutto, un´occasione per tornare a studiare e ad essere creativi.
La Repubblica 06.04.10
Pubblicato il 6 Aprile 2010