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"Università, precari della cattedra a centinaia resteranno a spasso", di Laura Montanari

Sono docenti a tutti gli effetti, ma invisibili e “non strutturati”. Con i tagli l’unica alternativa che avranno sarà insegnare gratis. Centinaia di docenti a contratto resteranno senza un corso o saranno “costretti” a insegnare gratis. Alcuni del resto già lo fanno. Sono i precari della cattedra, quelli che da anni vengono spremuti dalle università italiane, tenuti a far lezione anche a cento o duecento allievi per volta, quelli che fanno ricevimento studenti, seguono le tesi, assistono agli esami, danno i voti. Docenti a tutti gli effetti eppure invisibili, “non strutturati”: i loro nomi non si trovano né fra i ricercatori, né fra gli associati, né fra gli ordinari. Non hanno alcuna rappresentanza nelle facoltà, né negli organi di governo delle università. Sono esterni, cattedre low cost, in genere freschi di studio, aggiornati e qualificati. Molti hanno già avuto assegni di ricerca e borse di studio e vengono “parcheggiati” nella docenza più precaria che esista perché in questo modo le accademie possono continuare ad assicurare corsi a costo zero o a compensi irrisori. Dal loro canto, alcuni accettano lo stesso questi contratti capestro per proseguire il lavoro nel mondo accademico e sperando che prima o poi le università riaprano il reclutamento. Il fatto è che sono tanti, anzi tantissimi se in questa categoria di precari si includono anche assegnisti e contrattisti “costretti” pure loro a insegnare gratis. L’ultima rilevazione statistica del ministero è del 2008 e ne contava circa 38mila.

Per anni gli atenei hanno pescato da questo serbatoio per creare nuovi corsi e ampliare l’offerta formativa. Di recente è entrata in vigore una norma che impone che i corsi di laurea debbano essere tenuti almeno per il 50% da docenti strutturati (cioè ordinari, associati o ricercatori). Con la stretta finanziaria del governo sulle risorse alle università, i docenti a contratto sono i primi “esuberi” ad essere tagliati. Siccome però gli insegnamenti che coprono sono numerosi, gli atenei trovano una via di fuga offrendo la docenza gratuita oppure offrendo compensi risicati e diversi da ateneo ad ateneo, o da facoltà a facoltà: da zero a mille o duemila euro l’anno.

“Per uno che rifiuta c’è la fila comunque fuori dalla porta” racconta un professore dell’università la Sapienza. E’ così che con la crisi finanziaria, avanza questa figura atipica, questa specie di “volontariato” della cattedra. “Anche in passato c’erano università che ci proponevano corsi a stipendio zero”, spiega un ricercatore dell’università di Firenze.

Il fenomeno è in ulteriore crescita. A Pisa è partita la campagna “Gratis io non lavoro” che è un invito a rifiutare di tenere insegnamenti senza ricevere in cambio alcun compenso. Ma corsi non retribuiti si incontrano in diverse università: Napoli, Palermo, Siena, Cassino, Pisa, Firenze, Roma. “Siamo noi il vero tesoretto degli atenei – spiega Ilaria Agostini, del Coordinamento nazionale ricercatori precari della Cgil – negli ultimi sei anni io ho firmato 15 contratti con le università di Perugia, Ginevra e Firenze. Quest’anno ho detto basta, non ci sto: Firenze mi ha chiesto di salire in cattedra gratuitamente, prima mi pagavano tre euro lorde l’ora adesso zero, non è nemmeno un contratto di lavoro è una carta dove ci sono soltanto doveri e un unico diritto, quello di avere una casella di posta elettronica targata unifi”.

Non tutti rifiutano: “Io ho accettato – spiega Stefano Follesa, che tiene un corso di Arredamento per 120 allievi all’università di Firenze – ho una borsa di dottorato, faccio ricerca, insegno retribuito in un istituto privato. Certo che non è giusto che le università ci chiedano di insegnare gratis, ma per poter modificare questo sistema bisogna viverci dentro e lottare per cambiare le regole”.
repubblica.it 02.04.10

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