Tullio De Mauro intervistato da Francesco Erbani punta il dito contro la classe politica. I nostri ministri stanno lentamente distruggendo la ricerca, l’insegnamento, l’università
Che ne è della cultura degli italiani? Qualcuno afferma che, tra i Paesi avanzati, il nostro, nonostante le buone performance economiche, sia penalizzato da una sostanziale arretratezza culturale. Rispetto alla media europea l’Italia ha una delle percentuali più basse di diplomatie laureati, soprattutto nelle materie scientifiche. Da noi si leggono meno libri e giornali. Per non parlare dello scarso numero di biblioteche pubbliche. Preoccupazione destanoi livelli di analfabetismo, magari, come si dice, «di ritorno».
La spesa per la ricerca è, in percentuale rispetto al prodotto interno lordo, quasi la metà della media europea. Il numero dei ricercatori sul totale delle persone impiegate è uno dei più bassi d’Europa e la loro etàtra le più alte. Insomma, più di un motivo per non essere ottimisti. Richiama questi dati Francesco Erbani nella prefazione alla nuova edizionedi un libro-intervista con Tullio De Mauro: La cultura degli Italiani (Laterza, pp. 278, euro 12,00).
L’EMERGENZA ITALIANA
Uscito per la prima volta cinque anni fa, il libro non aveva mancato di far discutere. Anche perché, di contro al pessimismo delle analisi correnti, pur senza nascondersi i problemi, De Mauro nel riflettere sullo stato della cultura nel nostro Paese, puntava a una definizione più ampia di questo concetto, per superare le accezioni troppo chiuse in ambito umanistico-letterario o peraltri versi troppo specialistiche. Detto questo, lo studioso puntava il dito contro quella che a suo avviso rappresentava la vera emergenza culturale in Italia: la disattenzione della nostra classe politica nei confronti della cultura stessa. Ora,a cinque anni di distanza, gli autori hanno provato ad aggiornare quelle riflessioni. Nella nuova edizione viene riproposto integralmente il testo del 2004, al quale è stato aggiunto un nuovo capitolo finale, inteso sia come verifica delle ipotesi formulate nella prima parte del volume sia come proposta di una sorta di osservatorio permanente sullo stato della cultura in Italia. La domanda di fondo che si pongono gli autori è se l’Italia sia o no una nazione culturalmente arretrata. De Mauro evidenzia i punti diforza e quelli di debolezza della culturanazionale, mostrando come la dimensione culturale debba essere considerata parte integrante anche del benessere materiale di una comunità. Le forme del benessere produttivo sono a rischio di perdita se ad esse la classe dirigente non fac orrispondere un’adeguata attenzione ai temi della scuola, della ricerca, della formazione, dell’università, della lettura.
DA PRODI ALLA GELMINI
Eppure le scelte degli opposti schieramenti politici negli ultimi anni sembrano essersi mosse in tutt’altra direzione. In questa parte dell’analisi (contenuta nel nuovo capitolo) De Mauro non fa sconti a nessuno: «Se si vuole prestare una logica d’insieme ai provvedimenti dei ministri Gelmini e Tremonti in queste materie, la logica sembra essere quella di una progressiva, rapida destrutturazione dell’apparato pubblico di ricerca e di insegnamento. Ma anche il Prodi bis è statoun’amara delusione per chi sperava che promovesse un rilancio della ricerca e delle spese per questa, per le università e le scuole». A sottolineare queste cose si rischia di essere tacciati di fare della retorica disfattista. Eppure chi lavora nella scuola e nell’università sa come oggi la situazione sia a dir poco drammatica, anzi proprio tragica, per la mancanza di fondi per le cose più essenziali: mancano i soldi per pagare i supplenti, per comprare la carta delle fotocopie, per acquistare nuovi libri e attrezzature, per la messa a norma degli edifici. Se interpellassimo il Ministero dell’Istruzione, ci direbbero che non è vero niente e che stiamo facendo dell’inutile allarmismo. Forse si potrà ingannare in parte l’opinione pubblica, ma chi sta nel mondo dell’istruzione in prima persona e tutti i giorni (insegnanti, ricercatori, studenti, genitori) conosce bene la realtà.
TAGLI ALLE RISORSE
Che senso ha varare una riforma per la quale anziché investire nuove risorse si tagliano quelle chec’erano prima? Questa bella, densa intervista di Erbani a De Mauro aiuta a porre tali scottanti questioni in un più ampio contesto, fatto di disattenzioni e irresponsabilità da parte di chi, governandoil Paese, dovrebbe essere chiamato a perseguire sagge prospettive di lungo periodo, anziché asfittici disegni utili solo a far quadrare i conti della serva. Con un prevedibile e forse irreversibile danno per il futuro del nostro Paese.
da L’Unità