E ora, tutti dentro. Il modello piazza del Popolo, il palco dell´ultima manifestazione animato dalla nuova union sacrè, alla quale aggiungere un altro ospite: Pier Ferdinando Casini. Tutti insieme appassionatamente per mandare a casa il Cavaliere. La lezione delle regionali, anche trepidando ancora per la Bonino e Bresso, per gli uomini di Bersani c´è già. Enrico Letta, il numero due del Pd, l´ha spiegata e illustrata più o meno così, mentre lo stato maggiore del partito ragiona sul dopo-voto. Abbiamo vinto in posti dove in campo siamo scesi con schemi di gioco opposti. Nelle Marche attacco a tre punte, Pd-Udc-Idv, e niente sinistra. In Puglia, al contrario, dentro i rossi di Vendola e fuori i centristi. Ma la ricetta migliore, la tempesta perfetta per liberarsi del centrodestra l´hanno, secondo il vicesegretario del Pd, concepita a Genova: «Claudio Burlando ce l´ha rifatta portando dentro sinistra e centristi, dipietristi e grillini». E´ il modello Liguria che vince, ingloba e tiene insieme, e che tira di più al Nazareno. Senza i brividi lasciati nelle ossa da Lazio e Piemonte. Le batoste di Calabria e Campania. Del resto, allearsi con Casini da solo? «Non ci possiamo legarci mani e piedi a Pier, tiene ma non decolla», conteggiano gli uomini del segretario scorrendo le performances dell´Udc. Si riparte da Di Pietro, allora? «Ottima prova, la sua. Ma un Pd al carro giustizialista e anti-Colle non va da nessuna parte e non lo vedrete». Portato a casa un risultato, superata la grande paura e messa quasi al sicuro la sua segreteria – in attesa delle conseguenze innescate dall´esito delle battaglie di Roma e Torino – Bersani comincia già a pensare al Pd che verrà. «L´atmosfera è di unità, ci siamo ritrovati tutti quanti a seguire passo passo l´andamento del voto, da D´Alema e a Veltroni – ricostruisce Fioroni – ma certo un po´ di problemi da affrontare e risolvere li abbiamo di fronte».
Tabelle e conti, in tanti del popolo pd non sono andati a votare perfino nel cuore antico della sinistra, Emilia o Marche. I grillini, che colpiscono il Pd, ancora in Emilia o in Piemonte. Ma poi, soprattutto, è la conta sul peso vero del partito che tiene banco. «Attorno al 25 per cento, e quindi sotto il dato delle europee», quantificano quelli di Area democratica, l´opposizione guidata da Franceschini, segretario che dovette lasciare la poltrona proprio per quel risultato. «Balle», taglia corto Migliavacca, capo dell´organizzazione, vanno sommati i voti delle liste civiche del presidente collegate ai democratici. Snocciola le cifre: partito che va avanti, si lascia alle spalle il tonfo del 26 per cento dell´anno scorso. Crisi in Emilia? Falso: Pd è «avanti di due punti». In Umbria di tre. Almeno un punto sopra in Lombardia, Liguria, Piemonte. Solo che i veltroniani tutta questa aria da «inversione di tendenza», come la chiama il segretario, non la sentono soffiare. «Io penso che il Pd – dice Walter Verini, braccio destro dell´ex segretario – adesso deve puntare tutte le carte nel ritrovare il rapporto con i cittadini. Le alleanze vengono dopo». Quel tutti insieme, praticato nel voto e che adesso si profila ancora più ampio, agli uomini di Veltroni continua a non piacere. E con Lazio e Piemonte nelle mani del centrodestra, sembrano pronti a riaprire le ostilità. Lo scenario in quel caso sarebbe, spiegano, un paese diviso in tre: il nord alla Lega, al centrosinistra ridotto nell´Italia appenninica, e nel sud la destra del Pdl, ad eccezione della Puglia dove portabandiera è un governatore che «il Pd all´inizio non voleva».
Per capire se davvero è passata “a nuttata” del Pd, come nel caminetto riunito al Nazareno al gran completo qualcuno l´ha chiamata, ancora ci sarà da soffrire. Lazio e Piemonte che ballano sul filo. Fanno la differenza. Fuori, nella battaglia con il Cavaliere, ma anche. Ma fino a ad un certo punto, per Enrico Letta. «Certo, aspettiamo, incrociamo le dita e speriamo. Però, alla fin fine, là vinciamo o perdiamo per una manciata di voti. Il quadro e le tendenze non cambiano. E per me, già ora, già così, le cose si stanno mettendo bene».
La Repubblica 30.03.10
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Bersani conferma 7 regioni e annuncia “Possiamo diventare il primo partito” . “Siamo oltre il 28%, abbiamo invertito la tendenza” , di Giovanna Casadio
La Bindi: in Calabria ci siamo fatti male da soli e in Campania non abbiamo reagito
Fiato sospeso per la Bonino, amarezza per il Piemonte Tutti i big riuniti al largo del Nazareno
Il risultato c´è. Il Pd vince la maggioranza delle Regioni al voto: 7 su 13. E potrebbe diventare il primo partito in queste elezioni. Fino a tarda sera la partita in Piemonte e nel Lazio è al fotofinish. Comunque, per Pierluigi Bersani vale un dato su tutti: «Torniamo a vincere. Abbiamo invertito la tendenza. Venivamo dalla sconfitta alle regionali della Sardegna e dell´Abruzzo, ora incassiamo la vittoria». Per festeggiare in realtà, ci sarebbe voluto il successo di Emma Bonino nel Lazio. In largo del Nazareno, la sede del Pd, ci sperano fino all´ultimo. E il boccone particolarmente amaro è consegnare il Piemonte alla Lega, tenuto conto che è «una sconfitta senza alibi – commenta Ermete Realacci – poiché c´era l´alleanza strategica con l´Udc di Casini e il Nord è praticamente tutto nelle mani del centrodestra, con la sola eccezione della Liguria». Però il partito cresce. Secondo le proiezioni avrebbe raggiunto complessivamente «il 28,54% dei consensi mentre il Pdl è tra il 26 e il 27 per cento, perdendo dieci punti rispetto alle europee». La speranza è il sorpasso.
Bersani rinvia a oggi i commenti ufficiali, aspettando il quadro completo. I big, tutti insieme al partito, si riuniscono nella stanza del segretario, poi si spostano in quella di Maurizio Migliavacca, il coordinatore organizzativo dove arrivano in continuazione e alla spicciolata i dati delle sezioni-campione. Ci sono Rosy Bindi, Enrico Letta, Dario Franceschini, Piero Fassino, Livia Turco, Anna Finocchiaro, poi Franco Marini, Beppe Fioroni e anche Walter Veltroni e Massimo D´Alema, gli eterni rivali. Bersani insiste sul punto politico: «Tremonti diceva che saremmo diventati un partito appenninico, che l´avremmo cioè spuntata solo nelle tradizionali roccaforti rosse – Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche – invece è stato il Pdl a prendersi una lezione, la nostra è una bella vittoria».
Quel paio di punti in più rispetto al 26,13% ottenuto alle europee, per i Democratici fanno in effetti la differenza. La resa dei conti interna nel partito sarebbe infatti ripartita da lì, se ci fosse stato un sostanziale stallo e una incapacità espansiva. La minoranza di Franceschini, Veltroni e Fioroni era già sul piede di guerra. Migliavacca analizza: «Il Pd avanza di 2-3 punti rispetto alle europee anche considerando i voti andati alle liste dei presidenti; in Emilia è cresciuto di 2 punti, in Toscana di 4, in Umbria di 3 e in Lombardia di un punto e mezzo e se in Piemonte e nel Lazio è leggermente sotto, la lista di Mercedes Bresso ha ottenuto il 6 %». In Calabria tuttavia, la débacle di Agazio Loiero porta con sé anche un crollo della lista Pd. Bindi è franca sulle sconfitte democratiche di Campania e Calabria: «In Campania non abbiamo avuto la forza di reagire come dovevamo. Abbiamo pagato i nostri errori, se avessimo reagito avremmo tenuto anche in Campania. In Calabria ci siamo fatti male da soli». E sulla Puglia, dove Nichi Vendola è stato ricandidato solo dopo avere stravinto le primarie e contro D´Alema, la presidente: «È andata bene, siamo molto contenti».
Non mancano gli affondi della minoranza. Fioroni è tutt´altro che tenero: «Non possiamo fare finta che per il Pd non ci sia un problema. Nessuno vuole mettere in discussione la leadership di Bersani, però l´astensionismo che è quasi raddoppiato, il fenomeno Grillo che in Emilia raggiunge il 7%, il trionfo della Lega che cannibalizza il Pdl, non possono non farci riflettere». Ottimista Franco Marini: «Mi pare che il periodo della crisi del Pd l´abbiamo superato, con soddisfazione registro che abbiamo tenuto il partito su un binario solido». Già da oggi tuttavia saranno molte le questioni aperte, a cominciare dal peso della strategia delle alleanze e della rotta in particolare con l´Udc.
La Repubblica 30.10.03