attualità, cultura, politica italiana

«Se la televisione spegne la vita», di Ilvo Diamanti

LA CAMPAGNA ELETTORALE senza talk show politici è divenuta la più televisiva della nostra storia politica. In modo neppure troppo involontario. Per alcune ragioni piuttosto evidenti. E vantaggiose per il premier. Il premier che ne è il primo artefice e responsabile.

1. Il silenzio dei talk show ha ridotto, anzitutto, gli spazi di critica al governo e al suo leader. Per non contraddire la sua auto-narrazione. Il “Cavaliere del fare”, il “Grande Sacerdote” della Religione dell’Amore opposta a quella dell’Odio. Meglio non rischiare il remake di un anno fa, prima delle elezioni europee. Le polemiche coniugali, le vicende di donne e donnine. Con gli strascichi negativi sul voto – o meglio: il non voto – al Pdl. Meglio non amplificare le intercettazioni telefoniche – diffuse in queste settimane – dei suoi dialoghi con il Commissario dell’Agcom e il direttore generale della Rai.

2. Sospesi i talk show, il territorio televisivo è stato occupato da Berlusconi e dal Pdl. La cui presenza ha superato ogni limite, come dimostrano le rilevazioni dell’Osservatorio di Pavia. A scapito non solo del Pd e dei partiti di opposizione, ma anche degli alleati, in particolare la Lega. Finita, a sua volta, in un cono d’ombra.

3. Le manifestazioni di piazza hanno offerto a Berlusconi ulteriore spazio mediatico. Quella di Roma della scorsa settimana, sceneggiata appositamente come un evento televisivo. Quasi un rito religioso, con i candidati governatori chiamati a giurare e la folla dei supporter invitata a evangelizzare gli infedeli e gli agnostici, come un esercito di “missionari”.

4. È stata la campagna elettorale più televisiva della storia politica italiana anche per il ruolo assunto dalla televisione nel dibattito politico. La chiusura dei talk show delle reti nazionali: occasione esemplare per discutere della libertà di espressione. Anzi: della libertà, tout-court. Ma soprattutto, i conduttori e i giornalisti dei talk show – sgraditi al premier – elevati a protagonisti politici. Basterebbe un’analisi del contenuto dei – tanti – discorsi tenuti dal premier durante la campagna elettorale. Oppure, riascoltare gli interventi – molteplici – del premier nelle più svariate trasmissioni tivù. In particolare, quelle “familiari”, come “Uno Mattina”. Emergerebbe, in modo evidente, una mappa dei “nemici” marcata – marchiata – dai personaggi televisivi. Primo fra tutti: Michele Santoro. Leader del PdAZ. Non il Partito di Azione, ma il Partito di Annozero. Poi, i Magistrati. Divenuti, negli anni di Tangentopoli, “custodi della pubblica virtù” (come li definì Alessandro Pizzorno), perché in grado di promuovere o delegittimare i leader politici. E, per questo, considerati antagonisti irriducibili dal premier, la cui biografia di imprenditore è punteggiata di indagini giudiziarie. Infine, fra i “nemici” evocati dal premier, nel corso della campagna elettorale, un posto d’onore spetta ad Antonio Di Pietro. Insieme a De Magistris, leader dell’Idv. Altrimenti detto: il PM. Partito dei Magistrati (e dei Pubblici Ministeri). Spesso, ospiti e protagonisti di Annozero. E, nell’ultimo mese, tra i più presenti nelle trasmissioni di informazione politica in tivù.

5. Così, questa campagna elettorale in vista delle regionali, senza talk show, non ha parlato delle questioni regionali, ma dei talk show. Non ha proposto i candidati presidenti e i loro programmi. Semmai, ha discusso di programmi televisivi. E ha opposto – fra loro – personaggi televisivi. Bloccando, accuratamente, i segnali di inquietudine che attraversano la società. Le preoccupazioni economiche e (dis)occupazionali. (Abbassano l’audience delle trasmissioni tivù e il gradimento del governo. Meglio il silenzio). Con alcune conseguenze rilevanti. a) L’oscuramento dell’opposizione politica. Del Pd e dei suoi leader, Bersani in primo luogo. Inoltre, come abbiamo detto, la sotto-esposizione della Lega, rispetto al premier. Il quale ha trasformato, ancora una volta, le elezioni in un referendum. Pro o contro se stesso. Anche se, in questa occasione, è possibile che ciò sia avvenuto per trainare non tanto la coalizione in difficoltà (come nel 2006). Ma anzitutto se stesso insieme al suo partito, il Pdl. b) L’ulteriore “unificazione” di Rai e Mediaset. Ridotti a MediaRai. c) Con l’esito di spostare all’esterno i luoghi del dibattito politico e pubblico. Sul satellite, sulle altre reti, su Internet. Soprattutto dopo la sentenza del Tar del Lazio, che ha dichiarato illegittima la sospensione dei talk show. Per questo, “RAI per una notte” – l’evento organizzato da Michele Santoro nei giorni scorsi – appare esemplare non solo di questa campagna elettorale, ma di questa fase mediapolitica. Trasmessa in diretta tv sulle piattaforme satellitari e su Internet, ha raggiunto intorno al 13% di share, a scapito delle reti MediaRai. E ha offerto una raffigurazione plastica dell’opposizione al tempo della “democrazia del pubblico e dell’audience” (per citare il filosofo Bernard Manin). Guidata da Santoro, Travaglio e Floris, insieme a Lerner. MediaRai al governo. Sky, le altre reti e Internet all’opposizione.

Di fronte allo spettacolo della politica come spettacolo (televisivo), coltiviamo due auspici. 1. Che finisca la finzione della tivù “pubblica”. Dove lo spirito “pubblico” si è perduto. Dove nessuno – al di fuori della cerchia dei diretti interessati – ha reagito alla chiusura dei talk show, né all’evento promosso da Santoro. Che si privatizzi la Rai. Che il mercato prenda il posto di un duopolio divenuto mono-polio. Asfissiante e asfittico. 2. Che la realtà reale sfugga – e si ribelli – a quella mediale. Che emerga un’Italia diversa da quella – irreale – messa in onda sui nostri schermi. Delusa ma non rassegnata. Capace di reagire con il voto. E non con l’astensione. Se la tivù tradisce la vita, bisogna spegnere la tivù, non la vita.

da www.repubblica.it