“Rai per una notte” fa il pieno di ascolti mentre TG1 e TG5 sono multati dall’AgCom per non aver rispettato la par condicio ai danni del PD. Bersani: “Questo dimostra che la censura oggi è un’assurdità, un boomerang”.
Per via di una falsa par condicio Santoro fa più del 10% di share ma senza la Rai, che viene multata (assieme a Mediaset) per lo squilibrio a danno del PD nella penultima settimana di campagna elettorale.
“L’uso che Minzolini, Masi e Berlusconi hanno fatto della televisione pubblicata, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso”. 8 anni dopo l’editto bulgaro, che di fatto estromise Santoro, Biagi e Luttazzi dalla Rai, è proprio il comico romagnolo a togliersi il sassolino dalla scarpa, e il Pala Dozza di Bologna gli tributa uno scrosciante applauso.
È successo anche questo a “Rai per una notte”, la serata organizzata da Michele Santoro e dalla FNSI, contro il regolamento RAI che ha sospeso per tutto il periodo elettorale le trasmissioni di approfondimento giornalistico. Simile a una puntata di Anno Zero, ma trasmessa in diretta sul web sul satellite, a partire da Sky, YouDem e Current Tv. Con migliaia di persone ad assistere dai maxischermi nelle piazze.
La RAI in quelle ore ha avuto gli uffici legali davveor impegnati: controllare se Santoro rischiva il licenziamento e valutare come rispondere all’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni che alla luce dei dati di monitoraggio dell’ultimo periodo (14 – 20 marzo), ha rilevato il perdurare di un forte squilibrio informativo tra Pdl e Pd, e una marginale presenza di altre forze politiche, in particolare delle nuove liste che si sono presentate alle elezioni, in violazione del richiamo già rivolto alle emittenti ad attuare il riequilibrio dell’informazione nei notiziari. “La Commissione – si legge in una nota – ha pertanto comminato, all’unanimità, una sanzione di 100.000 euro al Tg1 e al Tg5, che presentavano il maggiore squilibrio, ed ha, nel contempo, rivolto un richiamo a tutte le emittenti ad attuare un immediato riequilibrio dell’informazione entro la chiusura della campagna elettorale”. Richiamo vano.
La serata è stata aperta da un filmato montato con un parallelo tra un comizio di Mussolini e l’intervento di Berlusconi alla manifestazione del Pdl di Piazza San Giovanni, le loro domande «retoriche» rivolte al popolo.
Santoro ricorda: ”Per una telefonata Nixon dovette dimettersi. Aveva ordinato di spiare i suoi avversari del partito democratico e una commissione del Senato, quando scoprì che le telefonate erano state registrate, disse di pubblicarle per sapere cosa è successo. Qui si è compiuto un delitto di grande gravità: interferenza politica sulla libertà di espressione”
Ospiti della serata Giovanni Floris, altro “silenziato” della personale interpretazione della par condicio operata dalla Rai, Barbara Serra, della BBC, Riccardo Iacona, Gad Lerner, e Loris Mazzetti, storico collaboratore di Enzo Biagi, dirigente Rai sospeso per 10 giorni in seguito a un procedimento disciplinare per degli articoli scritti per “Il Fatto”, in cui denunciava i centri di produzione Rai che non lavorano a regime e la perdita di introiti per la Rai dovuta al mancato rinnovo del contratto con Sky. Mazzetti partecipa alla trasmissione/manifestazione chiuso in una sorta di gabbia fatta di filo spinato.
Giovanni Floris, si è detto non d’accordo sul parallelo con il fascismo “ma non è questo il punto. Penso che il bello di questo periodo sia che a una ingiustizia come la chiusura delle trasmissioni sia seguito un periodo in cui le persone hanno reagito. Questo ha portato a più aria. Dopo tutta l’aria che è stata sottratta in questo Paese, penso che sia il momento di ricominciare a respirare”.
Tocca alla magistratura valutare le intercettazioni, ma emerge chiaramente che ad un politico è concesso di chiedere la chiusura di un programma che non gli piace. “L’idea che quello che non ti soddisfa possa essere chiuso è un’idea asfittica”, chiude Floris. Per Gad Lerner è ormai evidente che la Rai viene trattata come una tv privata, di proprietà dei partiti. Ed è questa, in definitiva, la causa che ha portato al blocco delle trasmissioni. Di fronte a ciò: “bisogna che anche noi ripensiamo il modo di stare in tv dei politici. Questa compagnia di giro bisogna che cambi, gli ospiti sembrano sempre gli stessi di qualsiasi cosa si parli. Sembrano essere competenti di tutto”. Gad Lerner, ricorda la sua posizione di “privilegiato”. Per lui lo stop è durato solo due settimane, poi il tar ha dato ragione all’istanza di Sky e La7 e lui potuto tornare in onda, ma “il vostro problema riguarda anche me. Perché noi dovremo mettere agli atti chi se n’è accorto e chi no, chi ha protestato e chi è stato zitto”. Ma, soprattutto, per Lerner: “La censura crea il suo antidoto. Oggi il danno per i cittadini è clamoroso, ma domani verificheremo cosa è iniziato di antidoto, e forse scopriremo che sono nati canali alternativi d’informazione, che usano le telecamere ma non sono la TV”.
Per Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, la trasmissione di Santoro “dimostra che la censura nei tempi moderni è inutile, è un’assurdità, può perfino essere un boomerang”. E ha invitato il presidente del Consiglio ad avere “un atteggiamento meno ossessivo. Il premier non si accontenta mai, pur essendo ben piazzato nel sistema dell’informazione”.
Marina Sereni, vice presidente del Pd commenta la manifestazione di Bologna: “La censura non ha funzionato e non funzionerà, perché la democrazia italiana è più forte dell’arroganza di chi pensa che si possa fare una campagna elettorale occupando i tg delle televisioni pubbliche e private, facendo monologhi e fuggendo il confronto, occultando la realtà dei posti di lavoro che si perdono e delle aziende che chiudono. La democrazia è pluralismo, è libertà di espressione, è confronto sui problemi del Paese. E’ anche la possibilità di dissentire da Santoro, Floris o Vespa, semplicemente girando canale con il telecomando”.
Poco prima che le telecamere si accendessero il presidente dell’Fnsi Roberto Natale denunciava: “Abbiamo notizie di telefonate al gruppo di lavoro di Santoro da parte di dirigenti Rai che vogliono sapere cosa stanno facendo i collaboratori ricordando l’obbligo di esclusiva. Ricordi bene la Rai, la vergognosa Rai di questi giorni che questa è un’iniziativa sindacale – prosegue Natale – e non si azzardino a pensare a provvedimenti, pensino piuttosto alle scandalose telefonate del direttore generale”. Intanto Corradino Mineo, direttore di Rai News24, riceveva una lettera dal direttore generale Rai, Masi, in cui gli comunicano che la diretta dell’evento bolognese, che la rete allnews della rai aveva previsto di mandare in onda, dovrà cedere il posto a delle tribune politiche, concedendo solo una differita. Azione che Mineo si aspettava, visto che qualche ora prima della diretta, e della missiva di Masi, dichiarava: Io vado avanti nel rispetto del mio lavoro e sapendo che potrebbero anche volermi licenziare”.
Il senatore del Pd, Vincenzo Vita e il portavoce di Articolo 21, Giuseppe Giulietti, dichiarano: “La trasmissione Rai per una notte è stata un grandissimo evento politico e mediatico. Il successo impressionante degli ascolti realizzati attraverso un improvvisato circuito alternativo è la prova che la censura non passa. Dovrebbero prenderne atto coloro che hanno maldestramente provato a fare dell’Italia un regime televisivo a reti unificate. È poi da annotare che con l’esperienza di ieri è entrata in scena come medium di massa, la rete. E anche questo peserà sul futuro dell’Italia.”
da www.partitodemocratico.it
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«La rottura della gabbia tv», di Michele Serra
LA LUNGA diretta di Michele Santoro, ben al di là del giudizio di amici e nemici, è stata un evento storico: la capillare messa in rete di un’infinità di media di piccolo e piccolissimo calibro ha infine radunato un pubblico vastissimo. Un pubblico che si è trovato al di fuori e al riparo dal ferreo controllo governativo sulla televisione generalista. Per la prima volta in modo così evidente la gabbia del duopolio è stata clamorosamente scardinata: un’evasione di massa che ha coinvolto giornalisti e artisti a vario titolo “impubblicabili” – specie in questi giorni di campagna elettorale – sul grande quotidiano dell’etere tradizionale.
Insieme a loro sono evasi, a milioni, telespettatori (e cittadini) che non aspettavano altro. Un’audience confederata e autoconvocata è stata la vera protagonista dell’evento, e lo è stata a pieno titolo: il vero esiliato dalla tivù, la vera vittima dei protervi editti e delle telefonate padronali del Re Censore, è quella fascia di pubblico, in larga parte giovane, che ritiene di non avere più rappresentanza televisiva. Il suo esilio, prima ancora che politico, è culturale: il linguaggio della tivù, in gran parte calibrato su un’idea corriva e classista dei “gusti popolari”, non gli appartiene da anni. Quel mix di perbenismo politico e donnine scollacciate, di moralismo pubblico e immoralità privata, non gli dice nulla. Il mondo berlusconiano gli fa un effetto ridicolo e deprimente. È un pubblico che cerca la realtà ovunque (Internet, amici, scuola, socialità diffusa) ma non in tivù, se non nelle sempre più rade occasioni di informazione non controllata, non sanzionata, non addomesticata.
L’isteria censoria del premier e il servilismo dei suoi impiegati hanno fatto il resto. Sono stati il clamoroso lancio pubblicitario di una serata, più che antigovernativa, ingovernabile. E questo strappo mediatico, che in un paese normale già avrebbe il suo peso specifico, in Italia assume un peso molto maggiore: perché è precisamente il campo mediatico quello scelto dal premier per esercitare la sua egemonia politica, pubblicitaria (dunque economica) e culturale.
Basta vedere cosa ha fatto ieri il Cavaliere alla vigilia del voto: con l’intervista in contemporanea su Tg1 e Tg5 e l’invasione di altri quattro telegiornali e del Gr1. È in casa del premier – e non è una metafora – che microfoni e telecamere sono stati trafugati e autogestiti da chi intende l’informazione come un potere autonomo e non come il cingolo di trasmissione di questo o quel governo (ma soprattutto di questo). Chi ha seguito la serata, comunque la giudichi nei suoi singoli interventi e nel complesso della sua impostazione, ha colto l’eccezionalità, e direi ha provato lo choc, di un luogo televisivo di libertà incondizionata. Una libertà “scandalosa”, vale a dire non consueta, non normale in un quadro televisivo che ci ha via via abituati alla cautela, all’esitazione, all’autocensura come norma prevalente. E ci ha anche aiutato a capire quanto preziosi, e per questo detestati da Silvio Berlusconi, siano gli spazi di libertà d’informazione già presenti nei palinsesti, e ultimamente tacitati.
Ovvio che Silvio Berlusconi giudichi “un obbrobrio” una così plateale effrazione delle sue regole e dei suoi voleri. Sarebbe ancora più preoccupato se i suoi fornitori di sondaggi gli presentassero un’analisi accurata del target che ha accompagnato Santoro e i suoi compagni di fuga.
Bassa età media, fitta rete di contatti (non controllabili) sulla rete, irrequietezza politica a tutto campo, non certo inquadrabile solo nella comoda casella della “sinistra”. Rispetto ai tradizionali movimenti scolastici e universitari, che nascono e si spengono nell’ambito depresso e “specializzato” della scuola, questi milioni di disobbedienti si muovono e si formano dentro il fiume mediatico, cioè nel cuore stesso del potere italiano. Mitizzano “la realtà” come metodo antitetico al sogno berlusconiano, pretendono giornalismo, circolazione delle notizie, divulgazione dei fatti, insomma informazione, con un fervore che si presta magari a qualche trappola ideologica, a qualche scorciatoia faziosa, ma centra in pieno il cuore di ogni questione nazionale. Nella lettura governativa del fenomeno, si tratta dunque di autentici eversori. Sanzionare questo o quel giornalista, chiudere la bocca a questo o quel programma è nelle facoltà del premier, e si è ampiamente visto. Ma ricondurre milioni di italiani nell’alveo della docilità mediatica, questo non è più possibile: il merito fondamentale della serata bolognese è stato mettere in scena questa fuga di massa dalla Verità Ufficiale.
da www.repubblica.it
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«Internet risuscita la tivù», di Gianluca Nicoletti
La tv è morta. Non piangiamone però la scomparsa. Sappiamo che è capace di risorgere. Tutto quello che i guardiani del palinsesto pensavano di poter mettere sotto chiave, ha trovato la strada giusta.
Che gli consentirà di evadere dall’antica fortezza che sembrava inviolabile. Che il medium sia il messaggio comincia quindi ad essere un’affermazione forse da ripensare. Il messaggio può tracimare tranquillamente attraverso diversi media. Poi scomporsi e accorparsi di nuovo.
Nella serata di Santoro&amici si è vista la vecchia televisione perdersi attraverso il catetere tutta quella «vergogna» che avrebbe dovuto avere, secondo lei, necessaria ritenzione. I numeri sono ambigui, ma è senz’altro sicuro che la televisione si sia seminata per strada un bel po’ di quelle voci e volti che avrebbe preferito tenersi ben sigillati in pudibonda e silenziosa riservatezza.
Lo spettacolo del Paladozza non aveva nessun valore di rivoluzione, ma era passata l’idea che fosse «contro» e quindi ha mobilitato masse di emigranti digitali a cercare di intercettarlo ovunque transitasse, sia televisione satellitare, tv locale, radio o Internet in streaming live. Non condizionerà forse il voto nelle urne, ma è di certo un segnale d’allarme per lo stato di salute dell’egemonia televisiva.
La tv morta era vecchia; lo era strutturalmente, nel suo pensiero, nella valutazione del suo potere. È vecchia pure la maniera tradizionale di fruire del suo prodotto. Non ultimo, è decrepito il suo pubblico. Si pensi che un upgrade così banale come quello di una nuova sintonizzazione dei canali, a causa del passaggio al digitale terrestre, ha mandato in crisi battaglioni interi di abbonati tecnologicamente disagiati.
I televisivi, che hanno il controllo su tutto l’apparato referenziale, che permette al loro prodotto di sopravvivere, stanno così assistendo alla demolizione sistematica delle loro certezze. La televisione, come si è visto, può abbandonare l’hardware che l’ha tradizionalmente generata e può sparpagliare le proprie viscere ovunque qualcuno possa raccoglierle e rimetterle assieme.
La regolamentazione con il bilancino delle rappresentanze politiche in tv resterà un esercizio di pura maniera, un programma sottoposto a par condicio è già glamour quanto un Certame per appassionati latinisti. Chi non imparerà a percorrere le vie della transumanza dai pascoli asfittici della tv generalista, non avrà possibilità di farsi sentire dalla parte del paese che ancora non abbia formaldeide nelle vene.
La televisione delle mummie ha avuto la prima emorragia, anche se questa volta non si pensava certo di innovare, ma piuttosto di rivendicare il proprio posto privilegiato nel sepolcro dei faraoni.
da www.lastampa.it