Non solo i voti. Anche le parole, anche le cerimonie, perfino le liturgie pagane della politica. Lega e Pdl, con le elezioni sempre più vicine, si confondono e magari confondono. Per diventare primo partito del Nord, come Bossi crede e spera, deve rosicchiare consensi al Pdl. E Berlusconi, che vuol resistere, finisce sul copia&incolla delle invenzioni e dei linguaggi leghisti. Gli stessi, e non solo lui, che per anni ha deriso.
Buon ultimo, dopo una marcia iniziata 14 anni fa, è arrivato il «gazebo», quello che aveva rimpiazzato la «gabina elettorale», con la g, alla lombarda. Obbedendo all’ordine di Bossi, scendendo dal Po a Venezia, il 15 settembre 1996 i leghisti erano entrati per la prima volta nei «gazebo» per decidere la nascita della loro Padania. Un anno più tardi per votare il Parlamento del Nord, preso in affitto dalle parti di Mantova.
Folklore, battute, risate. E adesso non c’è giorno, non c’è intervista senza il gazebo. Berlusconi ci vuol mandare i cittadini «che dovranno decidere se vogliono il Premier o il Presidente della Repubblica eletto dal popolo». Per i leghisti è la rivincita del gazebo, e il Cavaliere nemmeno s’immagina la gioia. Roberto Calderoli non si è trattenuto: «I gazebo li abbiamo inventati noi, e l’originale è sempre meglio della copia».
Attenzione, perché questo finale di frase è lo stesso usato da Gianfranco Fini, il Presidente della Camera. Vede un Pdl sempre più simile alla Lega, e appunto: l’originale è meglio della copia. Marketing politico sbagliato, voti che scivoleranno verso la Lega, l’originale? «Questo lo vedremo lunedì – risponde Roberto Maroni -, però è vero che nel linguaggio della politica stanno sfogliando il nostro vocabolario. Ci copiano, e non solo quello».
Perché poi ci sarebbe il giuramento, quello dei candidati Governatori a Roma che recitano la formuletta accanto a Berlusconi. Roba vecchia pure questa, per la Lega. La prima volta, a Pontida, era stata nel 1990, dopo le elezioni regionali. Vent’anni fa, mica ieri. Quando Bossi era già lì ad inventare la sua politica e il Cavaliere era l’imprenditore di successo che voleva tutti davanti alle sue tv. E non dentro i gazebo.
La Stampa 26.03.10