L’altra sera, girovagando fra i canali, mi sono imbattuto in un volto ispirato che, dal palco di una piazza, inneggiava all’amore e urlava: entro il 2013 vogliamo vincere il cancro. Giuro, diceva proprio così. Vo-glia-mo vin-ce-re il can-cro. Non la disoccupazione. E nemmeno lo scudetto. Il cancro, «che ogni anno colpisce 250 mila italiani». Sulle prime ho sperato fosse il portavoce del professor Veronesi e ci stesse annunciando uno scoop mondiale. Così ho telefonato a uno dei 250 mila, un caro amico che combatte con coraggio la sua battaglia, e gli ho dato la grande notizia. Come no?, ha risposto, adesso però ti devo lasciare perché sono a cena con Vanna Marchi.
Ho degli amici molto spiritosi. Mi auguro che tutti i malati e i loro parenti la prendano allo stesso modo. E anche tutti i medici che in ogni angolo del pianeta si impegnano per raggiungere quell’obiettivo. In Italia con qualche problema in più, dato che il governo che entro tre anni intende vincere il cancro ha ridotto i fondi per la ricerca scientifica. Vorrei sorriderne, come il mio amico. Ma stavolta non ci riesco. Ho perso i genitori e tante persone care a causa di quel male. E allora: passi per le barzellette, le favole e persino le balle. Fa tutto parte del campionario di iperboli del bravo venditore e il pubblico ormai è assuefatto allo show. Ma anche a un’alluvione bisogna mettere un argine. Bene, per me il cancro rappresenta quell’argine. Non è: un milione di posti di lavoro. Non è: meno tasse per tutti. Il cancro è una cosa seria. E lui, che lo ha avuto e lo ha vinto, dovrebbe saperlo.
La Stampa 23.03.10
Pubblicato il 23 Marzo 2010
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