Centinaia di ricercatori minacciano di non salire in cattedra dal prossimo anno: se così fosse rischiano di restare scoperti molti corsi universitari.
Da Torino a Bari e in un´altra decina di città si fa strada una nuova protesta: lo sciopero bianco della didattica. Contro il disegno di legge Gelmini di riforma dell´università sono i più giovani, cioè i ricercatori, a mobilitarsi minacciando la “serrata”. Sono quei docenti che per poco più di mille euro al mese coprono quasi la metà dei corsi di laurea in tutti gli atenei. La minaccia è scritta nero su bianco, approvata dalle assemblee di diverse facoltà: «Smetteremo di insegnare dal prossimo anno accademico, non prenderemo parte alle commissioni di laurea o alle sedute degli organi collegiali, ci limiteremo a fare ricerca come indica il nostro contratto finché il governo non ritirerà la legge».
Dalla Federico II di Napoli, dove la contestazione è partita a fine di dicembre e dove i ricercatori hanno già smesso di insegnare da gennaio, hanno risposto all´appello, facoltà dopo facoltà, anche Torino, Genova, Firenze, Pisa, Siena, Bari, Cagliari, Milano, Bologna. Il coordinamento nazionale dei ricercatori invita tutti gli atenei ad aderire.
A dispetto del titolo, i ricercatori ricoprono di fatto il ruolo di docenti a tutti gli effetti tenendo uno, due o tre corsi: in certe facoltà insegnano per un numero di ore maggiore dei colleghi più titolati, cioè associati e ordinari. Ne consegue che, se gli oltre 25 mila ricercatori italiani dovessero aderire in blocco allo sciopero delle lezioni, centinaia di insegnamenti resterebbero senza prof.
Per il loro futuro, il disegno di legge Gelmini, che il 16 di marzo è approdato all´esame della commissione Istruzione del Senato, traccia prospettive di incerto destino. Se oggi, in mancanza di un concorso per la promozione a docente associato, i ricercatori possono restare tali anche per tutta la durata della loro carriera, domani non sarà più così.
Al termine di sei anni di contratto dovranno conquistarsi l´idoneità di associato, e se non ce la faranno resteranno fuori dall´università. Nel caso in cui possano invece “avanzare di carriera” dovranno comunque aspettare la chiamata di un ateneo e, tenuto conto dei pesantissimi tagli in arrivo ai finanziamenti, solo per pochi ci sarà posto. «Questa legge annunciata come la rivoluzione a favore dei giovani negli atenei è invece la loro tomba» dice Alessandro Ferretti, tra i promotori dello “sciopero bianco” nella facoltà di Scienze di Torino.
La riforma abolisce la presenza dei ricercatori nelle commissioni, cancella la rappresentanza dai consigli di amministrazione. In conseguenza dei tagli alle risorse, già dal 2009 alcuni atenei hanno chiesto a ricercatori e docenti a contratto di insegnare gratis.
C´è una nuova figura precaria che avanza: il “volontariato della cattedra”. Succede a Palermo, Siena, Firenze, Roma e altre città dove centinaia di contratti di insegnamento a giovani prof “esterni” vengono offerti a zero euro.
da www.repubblica.it