Altro che abbassare i toni. Berlusconi gradisce poco l’invito e invia al Colle un preavviso di sfratto niente male. Dopo le regionali, dice, per “modernizzare il Paese” si potrebbe pensare anche “all’elezione diretta del Presidente della Repubblica”. E il “mandato pieno” che Silvio chiede agli elettori rivela, così, la voglia di rivoltare come un calzino la Costituzione. Per “ridurre il numero dei parlamentari”, per “la grande riforma della giustizia”, ma – soprattutto – per premere l’acceleratore in direzione del Quirinale.
Il Cavaliere, in realtà, legge l’appello del Capo dello Stato a porre fine alla “conflittualità” come un monito formalmente bipartisan rivolto sostanzialmente a lui. E ieri sera, tanto per restare in tema con il libro che stava presentando al Tempio di Adriano (“l’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio”), ha spedito al Colle l’avvertimento del cambio di regole che potrebbe anticipare la scadenza naturale del settennato. Berlusconi, nei giorni scorsi, si era “limitato” a ipotizzare l’elezione diretta del premier, ma ieri è andato oltre. Se, poi, agli auspici di ricorso al popolo per la nomina del Capo dello Stato si aggiungesse l’attacco alla sinistra “che vuole giocare da sola” e “con un arbitro amico e parziale”, il conto delle stilettate di Silvio non farebbe che tornare.
Certo, il premier lega la metafora del derby “con una squadra chiusa negli spogliatoi” al caos liste e ai verdetti “anti Pdl” dei giudici, ma il sospetto che nella vicenda decreto il Colle gli abbia legato le mani è un tarlo che non lo abbandona. Presentando “l’unico libro su 53 che parla bene di me” – 650 messaggi scelti sui 50000 del dopo attentato – Silvio ha ricordato quel “freddo” giorno in cui rischiò di “passare Natale sotto terra”. E lo ha fatto, anche, per lanciare un appello di vita o di morte al suo popolo di cui teme l’astensione. “Quando dicono che sei peggio di Nerone, di Saddam, di Hitler, che sei un dittatore, che ti compri tutto – ha lamentato – Dopo non ti può meravigliare se qualche mente labile pensa di diventare un eroe cercando di farti fuori”. Quanto a lui – il Cavaliere usa il plurale – “siamo persone che rispettano gli altri, siamo tolleranti, non abbiamo mai proferito un insulto”. E per dimostrare quanto tutto ciò sia vero il Cavaliere attacca anche l’Agcom. Ieri mattina aveva detto che in quell’organismo “al di là di ogni ipocrisia, vince l’appartenenza politica, esattamente come nei nostri tribunali”. Ma in serata ha aggiunto altre gocce di fiele.
Per giustificare le pressioni anti Santoro sull’Autority, infatti, ha ammesso di aver parlato “con il presidente”, Calabrò, che gli avrebbe dato ragione. “E’ vero, mi ha detto, è una cosa indegna, dovremmo intervenire, ma non abbiamo la maggioranza…”. Da Calabrò arriva una smentita: “All’osservazione di Berlusconi che si trattava di cose indegne e che la maggioranza c’era, ho replicato – spiega ancora il presidente dell’Agcom – che anche sulle “cose indegnè bisognava rispettare le garanzie procedurali, e che le maggioranze sono variabili come dimostrato dagli esiti delle votazioni nei mesi decorsi in cui si è assistito a cambiamenti di orientamenti, in entrambe le direzioni, rispetto a precedenti atteggiamenti».
Berlusconi il suo “dovere” lo ha esercitato anche con Gallitelli. “Ho chiamato il comandante dell’Arma come qualsiasi cittadino che vede un reato e chiama i carabinieri”, si giustifica. E via con l’annuncio dell’approvazione di un altro provvedimento ad hoc. La legge sulle intercettazioni per porre fine “alla barbarie” della sinistra, dei giornali e dei magistrati. Tutte le toghe sono rosse, quindi? Macché. A Berlino, pardon in Puglia, c’è un giudice diverso dagli altri e l’arresto di Frisullo lo comprova. “Non ho mai detto che tutta la magistratura fa politica ed è di sinistra – spiega Silvio – Evidentemente, a Bari c’è un magistrato vero, che non è di destra. e che fa il suo dovere”.
L’Unità 20.03.10