Se non si fosse di fronte all’ennesimo colpo alla credibilità delle istituzioni e della politica di casa nostra, l’arresto dell’ex vicepresidente della giunta regionale pugliese (a dieci giorni dall’apertura delle urne e a nove mesi dalle sue dimissioni e dall’avvio dell’inchiesta), quest’arresto – dicevamo – potrebbe essere considerato la ciliegina mancante sulla torta di una delle peggiori campagne elettorali che si ricordino.
Una campagna elettorale aperta – di fatto – dallo scandalo che ha investito la Protezione civile e alimentata, via via, da episodi criminosi e vicende nauseabonde che, in alcuni casi, hanno lasciato lettori ed elettori letteralmente di stucco.
Si fa perfino fatica, nel timore di dimenticarne qualcuno, a rielencare fatti e personaggi di questo stillicidio quotidiano. Si è andati dai massaggi in tanga brasiliano somministrati al dottor Bertolaso, ai pugni e ai calci tra ex di Forza Italia ed ex di An nella sede del Pdl milanese; dalla sconcertante vicenda che ha portato in carcere il senatore Di Girolamo, al balletto di corsi, ricorsi e carte bollate intorno alle liste del centrodestra di Roma e della Lombardia; per finire in bellezza – si fa per dire – con le sconcertanti intercettazioni telefoniche intorno ai talk show Rai ed alle pressioni esercitate (ed esercitate perfino nei confronti del comandante generale dell’arma dei Carabinieri…) per ottenerne la chiusura. Un elenco raccapricciante, forse non definitivo (al voto mancano ancora dieci giorni…) e al quale, comunque, si è aggiunto ieri l’arresto di Sandro Frisullo…
Intendiamoci: non che il materializzarsi di indagini e di arresti in campagna elettorale sia una novità per la malandata politica italiana. Ma una novità, stavolta, va segnalata. E riguarda il modo con il quale il Popolo della Libertà sta facendo i conti con i citati avvenimenti: per la prima volta, infatti, la sensazione (confermata dagli ultimi sondaggi) è che l’«aggressione giudiziaria» al Pdl non stia affatto portando vantaggi – come spesso in passato – a Silvio Berlusconi. Anzi. E infatti nel quartier generale del centrodestra è ormai diffusa una palpabile preoccupazione: che l’ultimo mese e mezzo di fango nel ventilatore stia allontanando dalle urne molti potenziali elettori del Pdl.
La maggioranza di governo teme, insomma, una sorta di replica dell’ultimo voto francese, con percentuali di astensione elevatissime e la sconfitta del partito di Sarkozy. Non a caso, ieri è stato un continuo lanciare l’allarme intorno a questo pericolo. Lo ha fatto Berlusconi da Napoli («L’astensione favorisce sempre la sinistra»), lo ha fatto il presidente Schifani («L’astensionismo è un deficit democratico che poi pagano le istituzioni elette»), ma lo ha fatto – soprattutto – Vittorio Feltri, che dalle colonne de «Il Giornale» ha avvisato: «Forse per la prima volta in quindici anni c’è gente che storce il naso e non ha voglia di andare a votare Pdl…».
E’ un allarme che va considerato assolutamente fondato. La via crucis di polemiche, malcostume politico, intercettazioni, inchieste, e tiro al bersaglio contro ogni istituzione di garanzia – dal Quirinale all’Agcom alla Corte Costituzionale – ha fiaccato la resistenza anche dei più ottimisti. La valutazione che comincia ad andare stavolta per la maggiore è la solita: sono tutti uguali. E il rischio è tutto racchiuso in un’affermazione sempre più in voga: stavolta non voto nessuno. Naturalmente, è superfluo dire che l’astensione dal voto non è mai una vittoria per nessuno: né per chi la subisce, né per chi ne è protagonista. Ma a questo assunto democratico, va onestamente aggiunta una valutazione non più contestabile: e cioè che il sistema dei partiti sta davvero facendo di tutto per allontanare i cittadini dal voto. Non è con le lacrime di coccodrillo, natu
ralmente – e tantomeno con gli appelli dell’ultima ora – che è pensabile arginare il rischio di un alto astensionismo. Andrebbe messa in campo – stabilmente – una nuova politica, come ieri ha reclamato la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Non è cosa che si possa fare in dieci giorni, certo: ma è cosa che il Paese reclama ormai da anni. Anche queste elezioni, invece, si caratterizzeranno come l’ennesima occasione sprecata. Non è affatto un bene: e i partiti, i loro leader e i loro rappresentanti nelle istituzioni farebbero bene a considerare sul serio il rischio che comincia a incombere sul Paese. Sul Paese, prima di tutto. Ma anche sulle loro teste…
La Stampa 19.03.10