Nella Cina non ancora rivoluzionaria si usava acconciare i maschietti come femminucce: erano preziosi e destavano la gelosia dei demoni. In vesti femminili invece perdevano ogni attrattiva ed erano salvi. Quasi tutto è cambiato da allora nel Paese tranne la convinzione che mettere al mondo una bambina sia una disgrazia. Il progresso, la politica di controllo delle nascite e la medicina, hanno dato paradossalmente una mano: se spetta un solo figlio «deve» essere maschio e contro la nascita delle femmine al tradizionale abbandono nei campi oggi si può affiancare la prevenzione: ecografia e aborto fino all’arrivo dell’erede. Una situazione che l’Accademia cinese di Scienze sociali riassume con un dato impressionante: nel 2020 in Cina ci saranno da 30 a 40 milioni di teenager maschi «spaiati». Un esercito di «guanggun», di scapoli, non per scelta ma per l’impossibilità di trovare una coetanea.
Già oggi i cinesi abbienti pronti alle nozze spesso si rivolgono ai dirimpettai meno fortunati, siano cambogiani, laotiani o birmani, per trovare una sposa a buon mercato. Il problema è che non si riescono nemmeno a individuare con esattezza le cause del fenomeno: in Cina la politica del figlio unico data dal 1979, ma la nascita seriale di maschietti ha conosciuto un’accelerazione tra il 1990 e il 2005. In più, dal 1995, l’aborto selettivo sulla base del sesso è vietato per legge ma i risultati per ora non si vedono.
Non regge nemmeno la tesi di un fenomeno legato alle campagne dove una popolazione rimasta povera e ignorante preferirebbe i ragazzi, più robusti e destinati a restare in famiglia alle bimbe, delicate e in ogni caso appannaggio della casa del futuro sposo. Capita lo stesso nelle città tra le classi socialmente e culturalmente più elevate. E non accade solo in Cina. Il «gendercidio», l’omicidio legato al sesso del nascituro è diffuso in molte parti dell’altro gigante economico dell’area, l’India, dove in stati come il Punjab e l’Haryana sta portando a conseguenze simili. Anche qui le spiegazioni legate alla società tradizionale – un dettò indù recita: allevare una figlia è come innaffiare l’orto del vicino – valgono fino a un certo punto. Dal 1994, a quanto pare senza esito, è vietato abortire solo perché il nascituro non è maschio. Con grave scorno delle cliniche che reclamizzavano la loro attività con lo slogan: «Paghi 5.000 rupie oggi e ne risparmi 50 mila domani». Là dove la prima cifra, un centinaio di dollari, indica la diagnosi del sesso e la seconda l’ammontare medio di una dote, indispensabile per accasare l’indesiderata.
Cina e India sono casi limite, ma la lista dei Paesi dove il proliferare di «fiocchi azzurri» è troppo alto per essere naturale è lunga e comprende, per esempio, anche Singapore, Taiwan e la Corea del Sud, dove la penuria di donne e la necessità di ricorrere a mogli straniere ha prodotto un alto numero di Kosians, ovvero Korean-Asians, figli di matrimoni misti. Capita lo stesso nei Paesi della diaspora dell’impero sovietico, in particolare in Armenia, Azerbaigian e Georgia. In realtà, secondo alcuni studi, il fenomeno avrebbe portata mondiale e avrebbe a che fare più con «una fatale coincidenza tra la millenaria predilezione per i figli maschi, la diffusione delle tecnologie di diagnosi prenatale e il declino della fertilità», come sostiene Nick Eberstadt, demografo dell’American Enterprise Institute di Washington.
Quali che siano le cause a preoccupare sono soprattutto le conseguenze. L’indice di criminalità è raddoppiato in Cina negli ultimi 20 anni, in particolare i reati che hanno a che fare con il sesso ovvero stupri, rapimenti e traffico di donne, prostituzione. Anche in questo l’India si conferma gemella e rivale affiancando all’aumento dei reati quello della dote. Perché nel Paese dei chips e di Bangalore il matrimonio è ancora denaro che passa di mano e se la merce scarseggia i prezzi salgono. L’unica speranza è una drastica inversione di tendenza: è già successo nella Corea del Sud dove dal 2003 il rapporto delle nascite si è normalizzato, potrebbe accadere anche in Cina e in India. Secondo i più ottimisti sta già accadendo: nulla è più opinabile dei pronostici. Per ora, questo è un mondo per uomini.
La Stampa 07.03.10