Cresce la protesta nelle piazze contro il decreto salva-liste, mentre la Regione Lazio approva il ricorso alla Corte Costituzionale. Oggi il Tar decide sulla Polverini. Intanto Berlusconi attacca: «Da sinistra solo insulti». Ma il premier non ha gradito nemmeno le mosse di Fini: «Anche stavolta si è messo di traverso». E tra il Pd e Di Pietro è polemica sul Quirinale.
Basta guardarsi intorno per rendersene conto, anche senza badar troppo ai sondaggi, che vanno peraltro tutti nella stessa direzione.
Una trita immagine dell´Italia ci vorrebbe presentare come un Paese di azzeccagarbugli; e nell´evidente deformazione c´è forse un fondo di vero, nel senso che una lunga storia intellettuale e morale ci ha reso purtroppo per gran tempo familiari i cavilli e le trappole di una cultura giuridica troppo spesso malamente contigua ai voleri dei potentati politici o del dominio di classe. Ma questo ci ha anche come vaccinato: e il nostro senso comune ha imparato molto bene a distinguere una sottigliezza del diritto astrusa ma fondata, da un espediente che nasconde solo una sopraffazione.
La verità è che sono state violate da parte del Governo regole elementari di terzietà e di correttezza. Basta immaginarsi quel che sarebbe accaduto se l´errore fosse stato compiuto dal Pd invece che dal Pdl: nemmeno l´ultimo degli ingenui potrebbe credere che avremmo visto il presidente del Consiglio affaticarsi con lo stesso precipitoso zelo fra palazzo Chigi e il Quirinale. Per non parlare dell´affermazione, che vorrebbe essere di principio, con cui si apre il provvedimento, circa il generale prevalere della sostanza sulla forma: dichiarazione di una frettolosità rozza e incolta, che vorrebbe ammantare di duro realismo sostanzialista quel che è solo un artificio retorico per poter avere mano libera, e che non sarebbe dispiaciuta a qualche giurista nazista o (fate voi) a un Vysinskij.
Ma il problema, adesso, per l´opposizione – per tutta l´opposizione – non è più giuridico, ma politico. E riguarda la gestione della protesta e dell´insofferenza che stanno sempre di più crescendo ed espandendosi.
Diciamolo subito: ogni tentazione «aventiniana», ogni idea di testimoniare il disappunto e lo sconcerto chiamandosi in qualche modo fuori o in disparte, con la strategia di sottrarsi a un gioco truccato, finirebbe per favorire l´avversario, e va fermamente respinta. Bisogna accettare la sfida, e combattere sino in fondo, sino all´ultimo voto, la battaglia elettorale, qui e ora. In politica (e non solo), l´assente ha sempre torto. E´ un´altra la via da seguire: quella dell´impegno e dell´asprezza del confronto: la sola che possa allargare il fronte del dissenso, e farlo diventare maggioritario.
La crisi del berlusconismo, di cui parliamo da anni e di cui ormai tutti si stanno finalmente accorgendo, sta entrando in una fase nuova e imprevedibile, in cui ogni cosa è possibile. Il carisma personale non basta più a coprire il deficit di idee di una leadership che non ha più nulla da offrire al Paese. Ed è esattamente in questo vuoto che il partito si dissolve, e crea ogni giorno nuovi problemi con la propria inadeguatezza (come è accaduto clamorosamente in questi giorni), invece di impostare soluzioni, e di aprire prospettive. Le iniziative personali di alcuni ministri cercano di nascondere questo stallo. Ma fino a quando potrà bastare?
E´ emersa, in quest´ultima vicenda, un´arroganza del potere, una certezza di impunità, una sorda convinzione di poterla comunque fare franca, che inquieta molto, e dovrebbe ancor più inquietare chi sinora ha creduto in quello schieramento. Siamo passati da leggi ad personam giustificate (si pretendeva) dalla posizione peculiare del Principe, a provvedimenti di parte che hanno il sapore di autentici privilegi. Siamo di fronte a una deriva di autoreferenzialità normativa senza precedenti, come se il Paese non esistesse, come se ci fossero solo loro. L´opposizione deve fargli capire, con il voto, che non è così.
La Repubblica 08.03.10
Pubblicato il 8 Marzo 2010
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