La linea di Bersani resta sempre quella, la stessa da giorni: «Non si cambiano le regole in corso d´opera. Possono aspettare i pronunciamenti dei magistrati amministrativi». Mentre parla al telefono con i suoi collaboratori a Roma, da Napoli, mentre pronuncia queste parole, ecco la notizia: riammesso il listino Polverini. Conferma la bontà di una posizione politica e di principio. «Vedete? Funzionano bene tutti i gradi di giudizio – dice il segretario -. Basta attenderli serenamente. Senza evocare la piazza o provvedimenti inaccettabili. È quello che facciamo noi». Il segretario del Pd sente Casini, Di Pietro. «Della maggioranza nessuno – spiega -. Non mi hanno neanche cercato». Sicuramente, c´è un filo diretto con Giorgio Napolitano. Il Pd, lungo tutta la giornata, si muove cautamente anche perché teme di lasciare scoperto il Quirinale di fronte alle mosse spericolate di Berlusconi. Ma è proprio Napolitano a sollevare il Pd da qualsiasi remora. Il presidente della Repubblica esprime a chiare lettere, con Bersani e con altri, i dubbi profondi sulle toppe che il governo sta per mettere. «Il Quirinale tiene – racconta ai suoi interlocutori Bersani – . E il fatto che il Pd non tentenni consente a Napolitano di tenere meglio». Perciò, quando si diffonde la notizia di un consiglio dei ministri notturno per votare il decreto (poi annullato), Bersani torna alla battaglia pura e dura.
I mini-vertici alla Camera durante il voto di fiducia avevano fatto emergere le paure del Pd. «A me piace la competizione fisiologica, uno contro l´altro», ripeteva a tutti Pierluigi Bersani. «Possiamo esprimere il rammarico per una sfida dimezzata, ma più di questo?», aggiungeva Massimo D´Alema che pure viene sempre visto come l´interprete principe del dialogo con la maggioranza. In quei colloqui volanti, cui partecipano anche Fassino e Veltroni, si dà mandato a Dario Franceschini di capire le intenzioni del Pdl. Che cerca i dirigenti democratici, vuole sondare fin dove si può muovere sulla strada di una leggina, di un decreto per risolvere i casi Lazio e Lombardia. Si può definire questa attenzione a una vicenda tanto delicata trattativa? Sono contatti molto informali sul sentiero di un estrema cautela. Bersani, la mattina, sembra così preoccupato del «turbamento democratico», del «pasticcio» di cui ha parlato il capo dello Stato, che non sbatte la porta in faccia al Cavaliere. Sta sul vago, giocoforza: «Soluzione politica? Non so di che parlano. Comunque prima ammettano i loro errori».
In quei colloqui democratici alla Camera prevale la preoccupazione. Qualcuno propone una soluzione azzardata ma che toglierebbero dall´imbarazzo Colle e partito: il ritiro di Penati e Pezzotta dalla competizione lombarda, in nome della democrazia. Franceschini è preoccupato per le ripercussioni sull´ordine di pubblico: «Sono davvero capaci di tutto, anche di reazioni sconsiderate». Ma Bersani conferma le parole ripetute in questi giorni. «Situazione anomala, vero, ma se la sono creata loro. Hanno fatto tutto da soli e noi non abbiamo aggredito nessuno». La fisiologia è saltata, il problema politico di una corsa in Lombardia senza il partito più forte e il probabile vincitore non viene negato. «Detto questo, si capisce che vogliono manipolare le regole – insiste Bersani -. Considerano il listino Formigoni una sorta di lista d´eccellenza. Ma in tutta Italia e anche in Lombardia sono state cancellate tante altre liste. Per vizi di forma, firme mancanti. Allora cosa dovrebbero dire questi esclusi? Perché loro fuori e Formigoni dentro? Che sono, tutti sfigati?». L´annullamento del consiglio dei ministri è la conferma che il Quirinale non ha ceduto. La «fisiologia» impone di valutare le mosse del centrodestra, soprattutto in Lombardia, dove la corsa solitaria non piace nemmeno al Pd. Ma la linea dura rimane.
Un´altra buona ragione per non cedere, oltre al rispetto delle regole, è il comportamento degli alleati. I radicali, con Emma Bonino e Marco Cappato, criticano l´ipotesi decreto: «C´è solo una via d´uscita: annullare le elezioni e ricominciare da zero, semmai». Antonio Di Pietro attacca il governo: «Se fa un provvedimento salva-liste siamo al golpe». Pier Ferdinando Casini non è meno drastico: «Il rinvio del voto ci coprirebbe tutti di ridicolo. Si può trovare una soluzione di buon senso, ma con un atto di umiltà della maggioranza».
La Repubblica 05.03.10
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Pdl, proposta indecente Bologna merce di scambio «Nessuno scambio sulla pelle dei bolognesi», di Andrea Bonzi
Contrordine Elezioni subito in cambio dei via libera a una «leggina» che sani il caos liste. Il Pd: «Rifiutiamo qualunque trattativa e non vogliamo una democrazia a due velocità». il Pd e l’Idv respingono al mittente la proposta del Pdl che, per sanare il caos liste in Lombardia e Lazio, mira a far slittare le elezioni comprendendo anche Bologna.
Il Pdl, che si era fatto scudo della sacralità delle regole per negare il voto a Bologna, ora cambia idea. I segnali dei colonnelli berlusconiani a Roma sono chiari: pur di sanare il «pasticcio» delle liste in Lombardia e in Lazio, il Pdl intende mettere sul piatto il voto nel capoluogo emiliano-romagnolo.
Un baratto che al Pd non piace per nulla, anche se, almeno di in via teorica, riapre l’ipotesi di ume anticipate per scegliere il sindaco.
GIORNATA CONVULSA Una delle ipotesi più accreditate in casa Pdl è di fare una «leggina» bipartisan, quindi frutto di un accordo politico, che faccia slittare di alcune settimane le elezioni in Lombardia e Lazio. In questo contesto, come vera e propria contropartita, è stata offerta la chiamata alle urne per palazzo D’Accursio. E tanti saluti ai diktat che, solo poche settimane fa, aveva lanciato il numero uno dei deputati Pdi, Fabrizio Cicchitto: «Non ci sarà una legge per Bologna e per il Pd». Trovata la convenienza, tutto è diventato possibile per gli uomini di Berlusconi, fermo restando che il presidente Napolitano ha fatto capire che la posizione della minoranza di Centrosinistra nella partita non può-essere ignorata. A sancire “l’offerta” anche se lui parla solo di ipotesi tecnica, non politica è Filippo Berselli, coordinatore regionale del Pdl: «Se si sposta la finestra delle Regionali a una data successiva, e se i tempi tecnici sono rispettati, si può votare anche a Bologna in un contesto di election day». In realtà, i termini per indire le elezioni (cioè entro 70 giorni dopo la formalizzazione delle dimissioni del sindaco, avvenuta il 28 gennaio) consentirebbero a Bologna il voto solo entro la prima settimana di aprile, il week-end di Pasqua. Ma un accordo politico potrebbe superare anche questo ostacolo.
PD/IDV: «NO A SCAMBI» La linea in casa democratica a partire dal segretario nazionale Pierluigi Bersani però è chiara: «Nessuno scambio e nessuna trattativa in corso».
In realtà, l’altra sera Luciano Violante aveva aperto a un’ipotesi che potesse contemplare anche Bologna, ma poi si è corretto. Perché, fanno capire,da Roma, essendo la responsabilità del «caos liste» tutta di marca Pdl, i democratici non vogliono concedere nessun appiglio agli avversari. E lasciarli cuocere nel proprio brodo cercando di capire le prossime mosse. Lo dice chiaramente Sandra Zampa, parlamentare democratica: «Sono profondamente indignata e sbalordita. Voglio capire se in questo Paese esiste una democrazia a due velocità che punisce chi è onesto e premia chi non lo è». Le parole di Cicchitto non sono state dimenticate: «Disse che Bologna non era una città come le altre, e per due giorni di ritardo nelle dimissioni di Delbono il governo ha negato ai cittadini il diritto dell’esercizio di voto insiste Zampa -. Adesso dicano con chiarezza ai bolognesi che invece Lazio e Lombardia sono regioni diverse da tutte le altre». Analoga linea da Franco Grillini, candidato Idv nelle liste regionali: «Quella del Pdl è una proposta inaccettabile e offensiva».
DE MARIA: DESTRA NON DEMOCRATICA Stessi toni per il segretario bolognese del Pd, Andrea De Maria, se la prende con il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che ha dichiarato: «Se ci cacciano, siamo pronti a tutto».
Parole, per De Maria, «assolutamente sopra le righe», che fanno capire come il Centrodestra «sia ben oltre il “due pesi e due misure” ma dimostri l’assoluta carenza del più elementare senso della democrazia».
L’Unità/Bologna 05.03.10