L’Italia va alle urne fra meno di un mese e la televisione pubblica ha deciso di cancellare i programmi di informazione. Motivo: maggioranza e opposizione non si sono messe d’accordo sulle regole condivise per parlare con obiettività al Paese. E allora, invece di cercare una soluzione, il Consiglio di amministrazione ha deciso di tagliare la testa al toro, o ai conduttori, che non andranno più in onda. Lo ha fatto con i voti della maggioranza di centrodestra, quindi senza avere neanche il pudore, o l’ipocrisia, di nascondere che una parte politica ha imposto la propria volontà all’altra, nonostante la Rai sia finanziata con i soldi di tutti i contribuenti. Se un marziano atterrasse domani in Italia, non sarebbe facile spiegargli la logica di questa scelta.
Le settimane che precedono il voto, in teoria, sono quelle in cui si discutono i temi concreti che stanno più a cuore alla gente: le tasse, l’istruzione, la sanità, la difesa, la sicurezza, i trasporti, la cultura, le grandi questioni etiche che tormentano la società contemporanea. Quale momento nella vita di un popolo civile e democratico ha bisogno di più informazione, se non una campagna elettorale?
Noi invece vedremo film e altri programmi sicuramente bellissimi, in attesa che siano pronte le noiosissime tribune elettorali che faranno scappare anche gli spettatori più masochisti.
Intendiamoci: la televisione può essere usata come potente strumento di propaganda, in chiaro o subliminale, e quindi richiede il massimo equilibro da parte chi la manovra. Ogni storia, ogni tema, ogni idea, ha sempre almeno due facce: chiunque ambisca a fare un’informazione credibile, sa che deve rappresentarle entrambe con obiettività. Se per caso cominciasse a far pendere la bilancia da una parte sola, sacrificando l’onestà professionale per qualunque genere di tornaconto, perderebbe subito il bene più prezioso per ogni giornalista: la fiducia di chi lo legge o l’ascolta. Ma i veri professionisti dovrebbero avere queste regole incise nel loro Dna, senza bisogno di una legge che gliele ricordi o, peggio, gliele imponga.
In Italia non è così, per una serie di ragioni strutturali e culturali che ci costringerebbero a riportare i lettori indietro di almeno un secolo e mezzo. Vi eviteremo questa tortura, ricordando però che la colpa non è tutta dei giornalisti. La politica, in particolare alla Rai, domina la scena. Stavolta non ha trovato l’alchimia necessaria a soddisfare le pretese di tutti, e quindi la maggioranza ha scelto la scorciatoia del buio.
Thomas Jefferson, la cui statua troneggia davanti all’università che assegna i premi Pulitzer, diceva che allo Stato senza giornali preferiva i giornali senza lo Stato. Perché in una democrazia l’informazione, onesta e obiettiva, è più importante delle istituzioni che la governano: le crea, con la libera circolazione delle idee, e poi le controlla, se sa raccontare con equilibrio vizi e virtù del potere. Rinascendo oggi in Italia, Jefferson non crederebbe ai suoi occhi: ha trovato una popolazione che ai giornali senza lo Stato, preferisce lo Stato senza i giornali.
La Stampa 02.03.10
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“Par condicio, stop ai talk show Rai giornalisti in rivolta, protesta in piazza”, di LEANDRO PALESTINI
Garimberti contrario: un danno. Santoro: comunque in onda Zavoli: il Cda ha sbagliato. Lerner minaccia le dimissioni da La7: dissento sul rinvio.
In questo mese di campagna elettorale l´abbonato Rai non potrà vedere Annozero, Ballarò, Porta a Porta e L´ultima parola. I talk show vengono sospesi per applicare il regolamento della Vigilanza: ieri, il Cda Rai ha deliberato a maggioranza che i programmi di approfondimento vengano sostituiti, «ove possibile», con tribune elettorali, in ossequio alla par condicio. Ma conduttori e giornalisti non ci stanno. Dalla Federazione nazionale della stampa è subito partita la risposta: Roberto Natale invita i cittadini a una “veglia” di protesta stasera alle 20 davanti gli studi Rai di via Teulada. Alla Fnsi, ieri hanno fatto sentire la loro voce Giovanni Floris, Michele Santoro, Riccardo Iacona, Andrea Vianello. In collegamento, Lucia Annunziata ha promesso che In 1/2 ora non andrà in onda (anche se non è tra i sospesi) e Gianluigi Paragone (L´ultima parola) ribadisce che «è mancato il buon senso». Critico Bruno Vespa, il primo dei “sospesi”: ieri Porta a porta ha fatto spazio al film Squadra speciale. E Santoro, da capo della rivolta dei conduttori, studia proteste “alternative” per andare in onda «ovunque». Lancia l´idea «di uno sciopero bianco alla maniera dei braccianti di De Vittorio».
La delibera spacca i vertici aziendali e il Cda Rai. Il presidente, Paolo Garimberti, parla di decisione che «danneggia gravemente l´immagine della Rai» e gli utenti. Poi ipotizza «un concreto rischio di danno erariale». Nei giorni scorsi il danno era stato quantificato: tre milioni di euro di mancata pubblicità per il mese senza talk. Mauro Masi, direttore generale, non replica, fa sapere che «era l´unica decisione possibile» per evitare sanzioni. Sergio Zavoli, presidente della Vigilanza, pensa invece che «la Rai poteva cercare un ragionevole compromesso» ed è stato provocato un danno agli utenti. Lo stop ai talk show fa registrare l´ennesima frattura nel Cda: la delibera è passata con cinque voti favorevoli e quattro contrari. Inutili le proteste dei consiglieri di opposizione Nino Rizzo Nervo («la decisione tradisce i doveri del servizio pubblico») e di Giorgio Van Straten: «è un regolamento che autorevoli giuristi hanno valutato come incostituzionale».
Alla manifestazione della Fnsi arriva la solidarietà da Mediaset attraverso Alessio Vinci (Matrix) e da La 7 (Luca Telese). Anche le tv commerciali temono la par condicio via Agcom. Gad Lerner è solidale, mentre divampano le polemiche sul blocco del suo L´Infedele (da parte della rete: la par condicio non c´entra) che ieri avrebbe trattato lo scandalo Fastweb Telecom. «Ritengo che la trasmissione da noi concordata secondo le procedure aziendali, e già pubblicizzata, non avrebbe turbato né le indagini né le decisioni che competono alla magistratura» si legge sul blog di Lerner, che avrebbe minacciato di lasciare l´azienda.
La politica si divide. Per il sottosegretario Paolo Bonaiuti (Pdl) il Cda «ha seguito puntualmente le indicazioni del Parlamento». Invece, Paolo Gentiloni, responsabile comunicazione Pd, pensa che la decisione del Cda Rai «svela quello che fin dall´inizio era l´obiettivo del regolamento-bavaglio, imposto dal centrodestra in Vigilanza». La segreteria del Pd fa sapere che il partito aderisce alla manifestazione indetta stasera in via Teulada da Fnsi e Usigrai. “Youdem” accoglie la proposta di Santoro di fare altrove i programmi chiusi: la tv del Pd è pronta a riprendere con le proprie telecamere la puntata di Annozero o di Ballarò. L´Italia dei Valori sarà alla «veglia per la libertà di informazione»: lo conferma Pancho Pardi, capogruppo dell´Idv in Vigilanza. Anche il Popolo Viola, insieme ai comitati BoBi (Boicotta il Biscione) e a Liberacittadinanza, invita i cittadini davanti agli studi di Ballarò (in via Teulada) che stasera non va in onda. «Questo stop non ha precedenti nelle realtà occidentali», dichiara Floris.
La Repubblica 02.03.10
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