C’era una volta un paese di emigrati. Gli italiani che lasciavano le loro terre alla ricerca di pane e dignità. A quegli italiani il paese deve molto perché hanno assicurato per decenni, per se stessi e per i familiari rimasti in patria, una vita dignitosa. La memoria di questi cittadini tra due mondi, spesso maltrattati e soggetti a continue discriminazioni, è un monito a non fare agli altri, agli immigrati di oggi, ciò che è stato fatto a noi quando “gli albanesi eravamo noi” secondo il bellissimo libro di Gian Antonio Stella dal titolo assai rivelatore, «L’Orda».
Ed eccola qui, l’orda: l’ “invasione” evocata strumentalmente pochi giorni fa dal presidente del Consiglio Berlusconi; l’ondata nera dei criminali stigmatizzati con un’equazione tra immigrazione e clandestinità che ha profondamente indignato, oltre a migliaia d’italiani, anche la Caritas e il quotidiano L’Avvenire; l’orda di coloro che rubano il lavoro agli italiani quando tutti sanno che il lavoro immigrato per ora è complementare e non competitivo rispetto a quello degli italiani; la marea dei bambini stranieri che andrebbero separati dai loro coetanei italiani. E la lista potrebbe continuare.
Ma l’Italia dovrà rendersi conto che l’immigrazione è un fenomeno strutturale. L’immigrazione rappresenta la cifra precipua delle profonde trasformazioni che il paese deve affrontare da qui ai prossimi decenni, dove la capacità di confrontarci con le sfide della contemporaneità si misurerà con il nostro modo di gestire con responsabilità e innovazione normativa e programmatica la questione dell’immigrazione. Attraverso l’irrompere dell’immigrazione nel nostro tessuto produttivo e socio-culturale, dentro i processi di mutamenti urbani e all’interno dei meccanismi formativi delle nuove generazioni, l’Italia dovrà dimostrare la sua propensione a traghettarsi dentro la globalizzazione con mappe concettuali e strategie operative all’altezza della complessità contemporanea. È la grande novità dell’innesto che “pro-voca”, chiama a sé, e che stimola con la promessa della ricchezza data dalla diversità.
Il 1 ̊ marzo assume così il valore di un passaggio simbolico importante. Possiamo dire che costituisce un evento-avvento per la società italiana. Essa è chiamata a interiorizzare ciò che viene quotidianamente rimosso. Il 1 ̊ marzo potrebbe assumere per la coscienza civile più intima di questo paese le caratteristiche di un momento iniziatico, di passaggio verso una definitiva consapevolezza di essere diventato altro grazie all’irrompere degli altri. È un invito alla responsabilità, nel senso letterale di misurare il peso (res/pondus) della presenza e dell’agire dei nuovi cittadini per, insieme, costruire un futuro comune.
L’Unità 01.03.10
Pubblicato il 1 Marzo 2010