Gli interventi a favore delle famiglie rappresentano una quota non piccola delle spese di welfare dei paesi sviluppati; dal lato della spesa possiamo distinguerli in trasferimenti monetari e in servizi. I trasferimenti monetari riguardano in genere sovvenzioni o sussidi per i figli o le persone anziane, mentre i servizi possiamo simmetricamente dividerli in asili nido (pubblici) e assistenza agli anziani. In mezzo, tra erogazioni monetarie o di servizi, vi sono anche gli aiuti per spese specifiche, per esempio per l’affitto della casa d’abitazione. Esistono poi gli interventi dal lato delle imposte, generalmente una riduzione dell’imposta sul reddito per familiari a carico; anche i risparmi d’imposta sono sia generici che collegati ad alcune spese specifiche.
In paesi diversi si osservano dei mix di interventi diversi, che riflettono tradizioni ed impostazioni culturali; gli stati che agiscono più sul lato della spesa presentano quote sul Pil più elevate, cui corrispondono quote di prelievo anch’esse più alte. W. Adema e M. Ladaique, hanno calcolato l’intervento di welfare dei vari paesi, considerando simultaneamente sia il lato della spesa che quello del prelievo fiscale; il risultato è che i paesi scandinavi, che presentano una quota di spesa per welfare superiore di vari punti percentuali a quelli dell’Europa nord-continentale (Francia, Germania ecc..), si trovano invece allineati allo stesso livello una volta che si consolidino i due settori. Il punto è che Francia e Germania operano in maggior misura dal lato del prelievo. La stessa cosa è vera anche per l’Italia, avendo quest’ultima una quota netta di intervento di welfare significativamente minore. Due esempi: la spesa lorda svedese è del 34,6% (sul Pil) mentre quella francese del 33,8%, ma quella netta svedese scende a 29,3%, mentre quella francese rimane praticamente invariata (33,6%). UK ha la quota lorda a 24,3% mentre l’Italia la ha a 28,8%, ma al netto la situazione si capovolge: 29,5% UK, 26,6% Italia.
Tuttavia guardando nel dettaglio emergono differenze significative; nei paesi scandinavi ad esempio in sede di imposta personale non sono previste detrazioni né per il coniuge né per i figli; la visione dei rapporti tra individuo e società è tale che, se uno dei coniugi sceglie di non lavorare, non si vede perché la società dovrebbe intervenire in questa scelta. Se invece decide di lavorare e non trova lavoro, allora la società interviene attraverso politiche attive del lavoro, ed anche con sostegni monetari. La stessa cosa vale per i figli; non si interviene per la decisione di mettere al mondo un figlio, ma si interviene fornendo servizi (dall’asilo nido in su), e sussidi monetari in varie circostanze (redditi bassi, ragazze madri ecc…), favorendo così la possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro.
Nel resto d’Europa invece vi sono interventi di sgravi per coniugi e figli, con caratteristiche diverse, a fronte di una minore fornitura di servizi. Nei paesi a tassazione individuale vi sono deduzioni dall’imponibile o detrazioni d’imposta; la Germania, dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 1958) usa lo splitting, mentre per i figli ci sono delle detrazioni fisse; in Francia invece c’è il sistema del quoziente; su quest’ultimo sistema in particolare si vedano le giuste notazioni di D’Ippoliti .
In Italia l’Irpef era nata (1974) con il cumulo dei redditi nella dichiarazione del capo-famiglia (all’epoca il diritto di famiglia prevedeva questo ruolo per l’uomo); ma nel 1976 la nostra Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittimo il cumulo (l’anno prima era cambiato il diritto di famiglia e scomparsa la figura del capo-famiglia) e aveva indicato, a differenza della Corte tedesca, la tassazione individuale come metodo di imposizione. Va notato che inizialmente la detrazione per il coniuge era molto più alta di quella dei figli; rivalutando le lire ai prezzi correnti e convertendo in euro la detrazione per il coniuge era sui 200 euro, mentre quella per un figlio sui 40 euro. Nel corso del tempo la distanza tra le detrazioni per il coniuge e quella per i figli si è sostanzialmente annullata; inoltre l’ammontare (per tutti i familiari a carico) è cresciuto significativamente; la detrazione più tipica è sugli 800 euro. Le nostre detrazioni non sono fisse (cioè indipendenti dal livello del reddito) ma decrescono fino ad annullarsi a livelli di redditi alti. I dati delle dichiarazioni 2007 ci dicono che l’ammontare delle detrazioni spettanti sono state pari a 11,681 miliardi, pari al 5,9% dell’imposta lorda (al netto cioè di tutte le varie forme di detrazioni). Tuttavia si può stimare che circa un quinto non sia stato usufruito dai contribuenti perché incapienti, cioè con un reddito troppo basso per poter sfruttare pienamente le detrazioni.
Il sistema del quoziente alla francese trova da tempo appassionati sostenitori. Si può osservare che l’amore per il quoziente è molto diffuso nel mondo cattolico, probabilmente per l’aggettivo “familiare” che lo accompagna. La mia personale impressione è che i sostenitori del quoziente abbiano in mente gli effetti che questo sistema produrrebbe su coloro che, come loro, hanno redditi elevati, coniuge casalingo, e numerosi figli. Hanno invece molta difficoltà a capire che per tutte le famiglie con redditi medio-bassi (non parliamo neppure di quelle con redditi bassi) il passaggio al quoziente, sostituendo il sistema attuale, porterebbe ad un aggravio di imposta. Bisognerebbe allora introdurre un sistema a scelta, con il risultato di un costo che arriverebbe facilmente a superare un punto di Pil, per non parlare del fatto che la gestione del sistema sarebbe mostruosamente complicata; in Italia l’Irpef infatti funziona con i sostituti d’imposta, tipicamente il datore di lavoro, e dipende dal carattere individuale dell’imposta. Sarebbe comunque bene che i sostenitori del quoziente familiare sapessero che in Francia il quoziente si applica anche alle coppie (etero o meno) sottoscrittrici dei Pacs; non si applica ai maggiorenni (salvo il periodo dell’università), e quindi i”bamboccioni” non fanno numero.
Alcuni sostenitori del quoziente di area c.d. “teodem”, hanno in effetti la percezione che il quoziente alla francese consista in sgravi fiscali per redditieri con redditi alti; prova ne è il fatto che hanno presentato, nella scorsa legislatura, un disegno di legge (a firma Bobba et al.) che poneva un limite al reddito da “quozientare” (pari a tre volte il reddito medio “di specie”). Si trattava di una soluzione cervellotica prima ancora che illegittima costituzionalmente. Tuttavia ipotesi più sofisticate possono venire alla mente: ad esempio pensare che il divisore del quoziente non sia un numero fisso (per data famiglia) ma continuamente decrescente fino ad arrivare ad 1 per redditi altissimi. Proposta raffinata, non c’è dubbio, ma basta riflettere un attimo, per rendersi conto che quello che si sta cercando di ottenere è un sistema che dia dei risparmi d’imposta sostanzialmente uguali per tutti. Se è così allora c’è un metodo molto più semplice per ottenere il risultato, ed è quello di rendere fisse le detrazioni.
Eliminare la decrescenza delle detrazioni rispetto al reddito sarebbe in effetti una proposta ragionevole che gli animi sensibili alle difficoltà delle famiglie potrebbero sostenere, e che comporterebbe una perdita di gettito di entità molto più limitata: circa un miliardo e mezzo. Rimarrebbe però il problema delle famiglie a basso reddito che già oggi non riescono a usufruire pienamente delle detrazioni esistenti; volendo trasformare l’incapienza in imposta negativa, cioè in trasferimento monetario, il costo crescerebbe di altri due miliardi. Alcune famiglie usufruiscono degli assegni al nucleo familiare, ma altre no. Il Libro Bianco del Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze e del MEF del 2008 (consultabile sul sito della SSEF) propone una “dote fiscale” che unifica detrazioni ed assegni, generalizzando i trasferimenti monetari a tutte le famiglie. Per una sistemazione dell’Irpef che coniughi equità ed efficienza le detrazioni “piatte” dovrebbero essere applicate non solo ai carichi familiari, ma anche alle detrazioni da lavoro. In questo caso però il costo in termini di gettito salirebbe ad oltre un punto di Pil. Una riduzione di tre punti della prima aliquota, e di un paio di punti della terza, completerebbero i ritocchi all’Irpef; il costo complessivo arriverebbe a due punti di Pil. Ma queste proposte possono essere sviluppate in un successivo articolo.
Per concludere: mentre il quoziente “alla francese” agevolerebbe solo alcune famiglie, quelle con redditi più alti, un ridisegno complessivo del sistema delle detrazioni e dei trasferimenti monetari sarebbe auspicabile, non per favorire alcune famiglie rispetto ad altre ma per dare maggiore razionalità ed equità al sistema. Ma tale riforma avrebbe un costo tutt’altro che trascurabile – circa due punti di Pil – , e richiederebbe dunque ingenti risorse da reperire in qualche modo.
Fonti e riferimenti bibliografici:
W. Adema e M. Ladaique: “How Expensive is the Welfare State?: Gross and Net Indicators in the OECD Social Expenditure Database”, OECD Social Employment and Migration Working Papers n. 92, 2009.
Dati delle statistiche Irpef 2007, consultabili sul sito del Dipartimento delle Finanze.
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