A guardare la graduatoria degli atenei stilata dal Ministero dell’Università (Miur) per attribuire i 523,4 milioni di euro di incentivi al merito previsti sul fondo di finanziamento (Ffo) del 2009, la Federico II di Napoli non era malmessa. Nel novembre dell’anno scorso, i valutatori del ministero avevano classificato l’ateneo più grande del meridione al terzo posto della classifica per la qualità della didattica destinandogli il 5,09 per cento di un fondo di 177,9 milioni e al sesto posto nella ricerca (4,50 su una torta di 345,5 milioni).
Apparentemente tanti soldi, una boccata d’ossigeno in un momento in cui il taglio al finanziamento ordinario dell’ateneo (370 milioni quest’anno) stabilito dalla prima finanziaria del governo Berlusconi è di 19,5 milioni di euro (10 milioni solo nel 2010, destinato a crescere l’anno prossimo). Solo che il premio alla produzione non è ancora stato messo in bilancio perché dalle parti del ministero di viale Trastevere sembra che ci sia ancora un gran discutere sui criteri di valutazione in base ai quali attribuire i fondi.
Per Massimo Di Natale, segretario Flc-Cgil di Napoli, la graduatoria ministeriale non è attendibile perché non considera tutti i nove parametri sui quali sarà effettuata la valutazione finale. Considerando tra gli altri il tasso dispersione, il numero dei laureati e la loro occupazione la Federico II non guarda più dall’alto gli altri atenei, ma precipita in fondo alla classifica. «Non occorre essere degli esperti – aggiunge – per capire che la situazione a Napoli non è paragonabile a quella di Milano o di Trento». È quello che succede quando si rompe l’uniformità del sistema universitario nazionale preferendogli quello delle «eccellenze» territoriali.
La distribuzione del fondo premiale stabilito sul 7% del Fondo ordinario annuale sta azionando una spirale che attribuirà risorse crescenti (fino al 30%) alle università più grandi e a quelle che contano un rapporto stabile con le imprese e il territorio. In presenza di tagli crescenti fino al 2013, che incideranno in gran parte sulle università meridionali, la possibilità di ripianare il deficit diminuirà in proporzione. Altrettanto incerta resta al momento la promessa dei 400 milioni di euro fatta dal Miur a parziale risarcimento del taglio di 678 milioni sugli oltre 7 miliardi dell’Ffo del 2010, da stornare dall’importo complessivo dello «scudo fiscale». Soldi di cui nessuno, anche a Napoli, ha ancora visto le tracce in bilancio.
Ciò che più preoccupa è il presente. Come gli altri atenei italiani, anche la Federico II registra un ritardo dell’erogazione del finanziamento ordinario, la voce in bilancio più importante. Il 15 gennaio scorso il consiglio di amministrazione dell’ateneo partenopeo ha deliberato il ricorso alla gestione finanziaria provvisoria. Ciò significa che non è ancora possibile chiudere il bilancio di previsione. I revisori dei conti hanno optato per una scelta tecnica inevitabile. Prima di assegnare i finanziamenti ai dipartimenti e alle facoltà, è infatti necessario accertare la presenza effettiva dei fondi e capire dove è possibile risparmiare. Per il momento è stato rescisso il contratto quinquennale relativo all’acquisto delle licenze d’uso per le riviste scientifiche, mentre i poli museali cittadini verranno chiusi nei fine settimana.
Tutto lascia credere, non ultime le dichiarazioni del presidente della Conferenza dei rettori Enrico De Cleva, che questa drammatica stasi imposta dal governo al finanziamento dell’università realizzerà una drastica riduzione dei costi a scapito dell’offerta formativa. In questa situazione si corre il rischio di prelievi contingenti dal fondo ordinario per obiettivi diversi dalla ricerca, come ha denunciato il Consiglio nazionale delle ricerche in una mozione dello scorso 11 febbraio. Fino ad oggi la Federico II non sembra avere ceduto a questa tentazione. In un momento di blocco generalizzato del turn-over, nel dicembre scorso ha bandito 54 posti da ricercatore usufruendo della seconda tranche dei fondi Mussi. Una goccia nel mare del precariato.
Oltre al caos dei finanziamenti, sull’ateneo napoletano grava l’incognita della riforma del sistema di reclutamento contenuto nel Disegno di legge Gelmini in attesa di essere discusso al Senato. L’11 dicembre scorso i ricercatori della facoltà di Scienze della Federico II hanno annunciato l’astensione dalle commissioni di laurea e la rinuncia a coprire incarichi di insegnamento che non siano quelli di sostegno stabiliti dalla legge 382/80. Una decisione, sottoscritta da 149 ricercatori su 193, che sta ponendo dei problemi sullo svolgimento dell’attuale semestre. Il prossimo anno accademico l’astensione verrà confermata e sarà totale. Il prossimo 26 febbraio i ricercatori di Lettere e Filosofia decideranno in un’assemblea le forme di adesione alla protesta.
Quella napoletana è una situazione inedita. Fino ad oggi sono stati i ricercatori precari (assegnisti, dottorati e borsisti) a protestare contro il Ddl Gelmini. Oggi sono gli «strutturati» a sollecitarne la revisione. «Non siamo contrari a una legge di riforma – afferma Gianluca Imbriani, fisico e membro del Cda – ma la proposta di creare ricercatori a tempo determinato non risolve affatto il precariato esistente e rischia di confinare gli attuali 25 mila ricercatori in un limbo da cui sarà difficile uscire». Senza contare che il Ddl annuncia il blocco degli scatti stipendiali biennali e renderà difficile la ricostruzione della carriera per i prossimi assunti. «Chiediamo al Rettore Trombetti – dichiara Alessandro Arienzo, ricercatore della Federico II e segretario regionale della Flc-Cgil – di promuovere iniziative di contrasto contro le iniziative che minano la sussistenza dell’ateneo e del sistema universitario pubblico italiano».
Il Manifesto 21.02.10
Pubblicato il 21 Febbraio 2010