È da ottobre che Presadiretta sta seguendo la ricostruzione all’Aquila e domani sera vi faremo vedere quello che abbiamo trovato e quello che abbiamo scoperto. Vi dico subito che il quadro non è per niente positivo. Del PROGETTO C.A.S.E. – le famose «case di Berlusconi» che abbiamo visto nelle decine di consegne in diretta televisiva, corredate di tutto quello che serve per riprendere a vivere, dalla lavastoviglie al televisore al plasma – a quasi un anno dal terremoto ne mancano ancora 250 da consegnare. Per quelle centinaia di persone che sono ancora in attesa che i lavori finiscano il famoso slogan «dalle tende alle case!» non ha funzionato. Presadiretta vi farà vedere anche quanto sono costate: dai 2400 ai 2700 euro a metro quadro, una fortuna! E infatti quasi tutto il miliardo di euro messo in campo dal governo per la prima emergenza se n’è andato per costruirle. Poi ci sono i soldi per mantenerle, che nessuno calcola mai.
Il Comune dell’Aquila, che è praticamente senza un euro in cassa, dovrà sobbarcarsi le spese di gestione delle 19 new town volute dal governo, dagli autobus, alla raccolta dell’immondizia, oltre a tutte le spese di manutenzione ordinaria e straordinarie di case che sono state costruite in pochissimi mesi e che non sono proprio perfette. Siamo entrati per esempio con le telecamere nelle case di Cese di Preturo, uno dei diciannove insediamenti che si trova a una quindicina di chilometri dal centro dell’Aquila. Il cantiere non era ancora terminato ma mano a mano che venivano finiti gli appartamenti venivano immediatamente consegnati: era novembre, l’inverno era già arrivato all’Aquila con le prime nevicate e c’era urgenza di tirare fuori la gente dalle tende; sì, perché anche questo abbiamo visto, la gente ancora nelle tende, con gli anziani e i bambini in pieno inverno. Abbiamo accompagnato dentro le nuove case queste persone stremate da sette mesi nelle tendopoli, con i bagni da campo, le docce da campo, la cucina da campo e lo spazio privato ridotto a quindici metri quadri di tenda, dove ci devi far entrare tutto, anche un simulacro di spazio dove far giocare i bambini. E li abbiamo visti piangere mentre prendevano possesso degli appartamenti. Ma poi ci sono venuti incontro quelli che già ci abitavano da qualche settimana e ci hanno fatto vedere il legno esterno non adeguatamente protetto.
«Questi reggono un inverno e poi bisognerà passarci sopra qualcosa altrimenti con il freddo si spacca», mentre da una delle scale interne, per la mancanza di una copertura sul tetto scendeva una cascata d’acqua che entrava persino dentro gli appartamenti. È chiaro che ci vorranno ancora tanti soldi per mantenere le nuove case e mi domando da dove usciranno visto che il Comune è al verde. Poi mancano ancora 1500 tra MAP e MAR, quasi la metà di quelli previsti, per più di 3000 persone: sono i prefabbricati leggeri in legno, che la Protezione Civile sta facendo costruire in fretta e furia perché le case di Berlusconi non bastano. Ne ho visti anche su due piani, vere e proprie palazzine in legno, anche molto belle da vedere. Sono facili da costruire, da montare, sono antisismici al cento per cento, perfettamente coibentati ed ecocompatibili e dentro hanno tutto quello che c’è negli appartamenti delle case di Berlusconi. E soprattutto una volta terminato l’uso si buttano anche giù facilmente. Le case prefabbricate in legno costano un terzo di quelle del progetto C.A.S.E.: 700 euro a metro quadro contro i 2700 che sono costate le case di Berlusconi.
L’architetto Antonio Perrotti, dirigente della regione Abruzzo ha calcolato che se all’Aquila si fosse scelto di sistemare tutti gli sfollati in questi tipi di alloggi a quest’ora sarebbero già tutti dentro i MAP e i MAR, e si sarebbe speso la metà di quello che si è speso. E invece sono ancora 10.028 gli «aquilani perduti», dispersi tra gli alberghi della costa, negli appartamenti affittati, i più fortunati nelle seconde case. Ed è del tutto evidente che è dal loro ritorno che dipende il futuro dell’Aquila. E qui entriamo nel capitolo dolente della ricostruzione: a quasi un anno dal terremoto non è stata ancora emanata l’ordinanza per la ricostruzione del centro storico e a parte qualche puntellamento niente è stato fatto dentro la città dell’Aquila. Anche se sono centinaia, come vi faremo vedere, le abitazioni che con poca spesa sarebbero potute essere oggi abitabili. Per quanto riguarda invece le case che sono fuori della zona rossa, per colpa di ordinanze contraddittorie e di una farraginosa macchina burocratica, la gran parte dei cittadini sta ancora aspettando la risposta alle richieste di finanziamento e di fatto i lavori non sono ancora cominciati. Infine mancano i soldi per sostenere l’economia aquilana: non è stato varato un piano di sostegno al commercio e neanche alla piccola e media industria. La battaglia per far tornare le persone e tenerle attaccate alla loro città, la battaglia per far rivivere l’Aquila è ancora tutta da cominciare.
L’Unità 20.02.10