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Emergenza ricerca

Meloni e Fassina: con la crisi stanno venendo al pettine tutti i nodi di un sistema che scoraggia gli investimenti delle imprese. Il governo presenti in Parlamento una strategia di politica industriale. Pubblichiamo l’intervento di Marco Meloni, responsabile Università e Ricerca della segreteria nazionale Pd, e Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro della segreteria nazionale Pd.
A questo punto in discussione non c’è solo la perdita di competitività dell’economia italiana. A questo punto quella della ricerca in Italia è una vera e propria emergenza, che incrocia ed esaspera gli effetti della crisi economica sull’impresa e sul lavoro. Sono 25 i tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo Economico che coinvolgono decine, centinaia o migliaia di ricercatori. Se un numero ormai impressionante di grandi gruppi industriali ad alta tecnologia – ultima in ordine di tempo Glaxo – decide di dismettere i propri investimenti in Italia è perché con la crisi stanno venendo al pettine tutti i nodi di un sistema che scoraggia gli investimenti delle imprese: assenza di politica industriale, lentezza esasperante della burocrazia, incertezza del quadro normativo, crescente illegalità. Al di là delle specificità della vicenda Glaxo, è sempre più drammaticamente evidente l’assenza di una politica industriale, di una politica per la ricerca e per’innovazione. Il governo e il ministro Scajola hanno lasciato appassire Industria 2015, sperperando i finanziamenti in Alitalia. Hanno svuotato, con il click day, i più potenti incentivi per la ricerca e l’innovazione disponibili in Europa. Hanno tagliato i finanziamenti a importanti enti di ricerca lasciando invece volare la spesa per acquisti di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni.
Rischiamo ora di ritrovarci un esercito di ricercatori disoccupati. Nella maggior parte dei casi sono giovani brillanti e altamente specializzati che il Paese non può permettersi di sacrificare. Perderli sarebbe la conferma che l’Italia, già in coda alle classifiche internazionali per investimenti nel settore e per numero di ricercatori, ha deciso di rinunciare alla competizione sul terreno della ricerca, della tecnologia, dell’innovazione. E, dunque, di abbandonare i segmenti di lavoro specializzato a maggior valore aggiunto, quelli che, nel mercato globale, fanno sì che un Paese abbia successo o meno.
Le scelte del governo nei primi due anni di legislatura sembrano, purtroppo, rafforzare questa impressione: anziché fare come USA, Francia, Germania, che per rispondere alla crisi hanno incrementato in modo assai significativo gli investimenti in ricerca e istruzione, da noi miliardi di euro di tagli pregiudicano qualsiasi seria prospettiva di rendere questi settori più moderni, trasparenti, efficienti. E il modo – confuso, lento, senza alcuna strategia – con cui l’esecutivo affronta questo vero e proprio esodo ne è una ulteriore conferma.
Il governo presenti in Parlamento una strategia di politica industriale. Il PD farà la sua parte anche per trovare le risorse per realizzarla. I vincoli di finanza pubblica non possono giustificare l’inazione e la continua perdita di occupati. Intanto, venga ripristinato il credito di imposta per le spese in ricerca ed innovazione. Infine: ripartiamo dal capitale umano, utilizzando la riforma dell’università, per fare degli atenei italiani il cuore pulsante del sistema nazionale della ricerca.
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