All’Angelus Bendetto XVI ha fatto esplicito riferimento alle vertenze Fiat e di Portovesme.Gli operai lo ringraziano: «Aiuta la nostra lotta». La Cgil chiede al governo di non far più finta che la crisi è superata. Quelli dell’Alcoa se lo sono sentiti in diretta, in Piazza San Pietro sotto la pioggia, con l’elmetto da lavoro in testa e lo striscione “Alcoa Portovesme” srotolato sul sagrato. Allo stabilimento Fiat di Termini Imerese invece l’hanno saputo dai tg. Sono rimasti tutti colpiti. Non se l’aspettavano proprio di ritrovarsi a fianco nella loro lotta a difesa del posti di lavoro il Papa.
L’APPELLO All’Angelus Benedetto XVI ha usato parole inequivocabili invitando imprenditori e governo a fare «tutto il possibile per tutelare e far crescere l’occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie». Un appello già lanciato nei giorni scorsi dalla Conferenza episcopale italiana (il segretario generale della Cei monsignor Crociata aveva invitato a dare ascolto al «grido dei lavoratori») e che ieri il Papa ha fatto proprio e rilanciato facendo esplicito riferimento alle due vertenze emblematiche del momento. «La crisi economica – ha spiegato Benedetto XVI – sta causando la perdita di molti posti di lavoro e questa situazione richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti». E poi l’indicazione delle due crisi in atto: «Penso ad alcune realtà difficili in Italia come ad esempio Termini Imerese e Portovesme ».
I LAVORATORI Un sostegno inaspettato, ma certo di grande peso per chi sta lottando per il proprio futuro. In Sicilia, dove la Fiat (mercoledì ci sarà lo sciopero, venerdì il tavolo) ha deciso che la fabbrica (circa 2200 posti di lavoro) entro il 2012 non esisterà più, come in Sardegna, all’Alcoa, dove la multinazionale Usa vuole portare via la produzione d’alluminio. «Le parole del Papa ci aiutano perché il nostro territorio verrebbe ulteriormente devastato dalla disoccupazione» dice Roberto Ballocco della rsu che domani sarà a Roma a manifestare con i suoi compagni sotto palazzo Chigi dove si svolgerà la riunione fra i vertici aziendali e il governo. «Lo dico da non cattolico – commenta Roberto Mastrosimone della Fiom e rappresentante degli operai di Termini Imerese -maBenedetto XVI ha dimostrato una sensibilità e una percezione del dramma sociale che si sta consumando che la politica invece sta ignorando». Mastrosimone si riferisce soprattutto al Capo del Governo «Berlusconi non ha detto ancora una parola su quanto sta accadendo alla Fiat».
IL MINISTRO Lo fa invece il ministro del lavoro Maurizio Sacconi che accogliendo l’appello del Papa, chiede alle imprese, soprattutto a quelle che «per anni hanno avuto utili e magari anche aiuti pubblici», di non fare «frettolose scelte di ridimensionamento occupazionale ». «Tocca al management, spesso ben remunerato anche in tempo di crisi – spiega il ministro – esprimere autentica capacità di riprogettazione dei destini aziendali a misura delle persone». Da parte sua il governo, assicura Sacconi mettendo le mani avanti rispetto a chi possa leggere le parole del Papa come una critica all’esecutivo, sta scoraggiando i licenziamenti e mette a disposizioni gli ammortizzatori sociali. Ma il segretario del Pd Pierluigi Bersani non ci sta: ««Non è accettabile che il Governo continui a minimizzare il problema, dopo aver raccontato per mesi che la crisi era psicologica, passeggera e che l’avevamo ormai alle spalle. Venga subito in Parlamento» dice. E Susanna Camusso della Cgil fa notare che l’appello del Papa «è l’ennesima dimostrazione che non si può far finta che la crisi sia finita». Anche i leader di Cisl Raffaele Bonanni e Uil, Luigi Angeletti si augurano che le parole di Benedetto XVI siano davvero ascoltate da tutti. C’è da sperarlo. Anche perché non è la prima volta che il Papa lanci questi appelli. Lo scorso marzo, ad esempio, sempre all’Angelus, rivolse il suo pensiero ai lavoratori della Fiat di Pomigliano, al Sulcis Iglesiente in Sardegna e a Prato.
L’Unità 01.02.10
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Disoccupati e cassintegrati al Nord scoraggiati e sommersi al Sud, di Luca Iezzi
La maggior tenuta delle regioni meridionali è solo un effetto statistico: pesa il lavoro nero
Bortolussi (Cgia Mestre): a soffrire di più è il settore manifatturiero tradizionale. Disoccupati e cassintegrati al Nord, scoraggiati e sommersi al Sud. L´onda montante della distruzione dei posti di lavoro ha colpito le regioni italiane in modo diverso aggravando le situazioni preesistenti, ma anche generando reazioni differenziate. Le regioni del Centro e del Nord hanno avuto l´aumento più marcato dei disoccupati: il Nord Ovest ha visto crescere il tasso di disoccupazione nel terzo trimestre 2009 al 5,5% dal 3,8% di un anno prima, il Nord Est dal 2,9% al 4,6%. Una tendenza confermata dai dati dell´Istat riferiti a dicembre: gran parte delle 392 mila persone che nel corso del 2009 hanno ingrossato le file dei disoccupati (ora a quota 2 milioni e 138 mila) vengono dalle regioni più industrializzate. Il tasso record di disoccupazione arrivato all´8,5% ha ancora “margine” per crescere preventivando che almeno una parte dei lavoratori al momento in cassa integrazione dovranno cercarsi un nuovo lavoro. La Cgil ha stimato che con i lavoratori in Cig la percentuale dei disoccupati è già sopra al 10%.
La Cgia di Mestre, che ha analizzato la situazione del lavoro per regione, stila una classifica (dati settembre 2009) in cui sono Lombardia, Emilia Romagna e Veneto a subire l´aumento maggiore dei disoccupati, mentre Puglia, Lazio, Molise e Calabria vedono diminuire in maniera consistente i propri. Il tasso complessivo del Mezzogiorno è passato da 11,1% a 11,7%. Sono rimasti stabili, seppur su livelli allarmanti, in Puglia (10,8%) e Sicilia (13,3%), fanno comunque male Campania (12,2%) e Sardegna (12,7%) con un peggioramento superiore alla media nazionale.
La maggior tenuta delle regioni meridionali è solo un effetto statistico: la diminuzione degli occupati effettivi nel corso del 2009 è paragonabile al resto del paese: 195 mila i lavoratori in meno nel Mezzogiorno contro i 150 mila del Nord Est e i 130 mila del Nord Ovest. L´illusione ottica della riduzione dei disoccupati al Sud è già stato inquadrato dalla Banca d´Italia che ha segnalato l´aumento degli “scoraggiati”, ovvero delle persone in età lavorativa (15-64 anni) che non cercano più un impiego: in Italia sono 14,8 milioni, il 37,6% del totale, una zavorra storica del nostro paese da sempre con il tasso di attività al livello più basso in Europa. Gli inattivi sono per lo più giovani, meridionali e donne. L´altro fenomeno che spiega la contrazione dei disoccupati “ufficiali” nel meridione è legata ad un aumento esponenziale del lavoro nero. Le occupazioni dell´economia sommersa funzionano da vero e proprio ammortizzatore sociale, fornendo sostegno al reddito ai senza lavoro e facendo sparire una parte dei disoccupati meridionali tra gli inattivi. Una funzione “speculare” a quella realizzata dalla Cig per le aziende del Centro e nel Nord.
Dal punto di vista dell´economia ufficiale, preoccupa anche il tipo di aziende colpite dalla crisi, dove pagano soprattutto il settore manifatturiero (-386 mila gli occupati dell´industria in un anno) e tra queste le aziende che traggono gran parte del loro fatturato dall´export, vale a dire la parte che negli anni scorsi ha più contribuito alla crescita del Pil: «Al Nord ed in particolare lungo la dorsale Adriatica si è risentito in maniera molto forte della contrazione dell´export di queste regioni che ha investito soprattutto il settore manifatturiero tradizionale (tessile, abbigliamento, calzatura, metalmeccanica, legno e mobilio)» spiega il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi. Migliaia di aziende in una crisi molto più ramificata di quanto i casi-simbolo dei grandi gruppi riescano a raccontare.
La Repubblica 01.02.10