Per uno degli strani casi di cui la politica italiana è ricca, il barometro delle regionali indica che qualcosa sta cambiando. Siamo sempre nel campo delle previsioni, ma oggi il Partito Democratico sembra meno in difficoltà di quanto non fosse appena una settimana fa. Al contrario, Berlusconi e il Popolo della Libertà si sono arenati sul caso Puglia e ne escono un po’ ammaccati.
Prendiamo Bersani. È vero che nelle ultime ore il segretario del Pd ha dovuto subire l’attacco di Sergio Chiamparino, ma le carte di cui dispone non sono così brutte. In Puglia Vendola risulta largamente in testa, con un vantaggio fra il 4 e il 6 per cento rispetto ai due candidati di un centrodestra che non è riuscito o non ha voluto sanare le sue ferite. Certo, il successo di Vendola rappresenta la sconfitta del vertice democratico, e in particolare di D’Alema: ma se alla fine di marzo il governatore sarà confermato, il centrosinistra non andrà troppo per il sottile e segnerà al suo attivo una regione in più. Non si potrà dargli torto.
Quanto al Piemonte, Mercedes Bresso dà l’impressione, al momento, di avere in mano il bandolo della matassa. L’alleanza con i centristi è un punto di vantaggio per la presidente uscente, mentre Cota, lo sfidante leghista, è costretto a cercare consensi muovendosi lungo sentieri non agevoli: per esempio blandendo, con cautela, i nemici dell’Alta velocità. Il che rischia di togliere coerenza al messaggio del centrodestra.
E poi c’è la Liguria. Si era ventilata nei giorni scorsi un’intesa tra il partito di Casini e il Popolo della Libertà, invece è stato confermato il patto con il Pd. Per Burlando un passo avanti non indifferente, anche se la campagna elettorale resta aperta. Come nel Lazio, del resto, dove Emma Bonino è incoraggiata dai sondaggi a battersi ad armi pari con Renata Polverini.
In breve, il partito di Bersani, nonostante tutto, appare in grado di imporsi in sette regioni, forse otto. Se così fosse, non sarebbe un disastro. Nessuna «riserva indiana» o «repubblica degli Appennini». Si potrebbe parlare di un sostanziale pareggio, considerando anche il peso specifico delle diverse realtà regionali. Lombardia e Veneto, ad esempio, dove la destra è molto solida, non sono paragonabili alla Basilicata o all’Umbria, aree in cui la sinistra sembra destinata ad affermarsi.
Sull’altro versante, è singolare che Berlusconi si sia arreso alla logica dei due candidati in Puglia, dopo aver individuato con lucidità il cuore del problema: appunto, la necessità di contrapporre una sola candidatura credibile al forte Vendola. Due giornali di riflessione politica, il «Foglio» e il «Riformista», s’interrogavano ieri su questa incongruenza. Il senso era simile. In Puglia non ha funzionato il carisma del leader e hanno prevalso gli apparati. Certi dirigenti «non si sono mostrati all’altezza del compito», scrive il «Foglio». E sul «Riformista» Caldarola osserva come stavolta Berlusconi non sia riuscito a guidare il gioco e a scegliere d’autorità il nome del candidato giusto. Almeno fino a oggi.
La vicenda può essere considerata istruttiva. Forse è la prima volta che il premier si lascia imporre, dai collaboratori o dalle circostanze, una soluzione a lui poco gradita. È presto per dire se stiamo assistendo a un primo segnale del dopo-Berlusconi. Meglio essere prudenti. Ma se così fosse, il futuro del centrodestra si presenta all’insegna dell’autolesionismo e delle divisioni.
Il Sole 24 Ore 30.01.10