Le cifre danno torto a entrambi. Sul boom dei detenuti incide la clandestinità. L’equazione di Berlusconi «meno clandestini, meno crimini» è rimbalzata talmente tanto che ieri è intervenuta pure la Cei: «Dai nostri dati risulta che la percentuale della criminalità tra italiani e stranieri è analoga se non identica», ha detto il segretario generale Mariano Crociata.
Chi ha ragione? Per scoprirlo, è necessario innanzitutto fare alcune distinzioni.
La prima riguarda gli stranieri regolari e irregolari: è certamente vero, come dice la Cei (e il Viminale conferma nel suo ultimo rapporto) che il tasso percentuale di reati commessi da stranieri regolari è di poco più alto rispetto a quello commesso dagli italiani. È circa dell’1,3% contro lo 0,75% dei cittadini italiani. Hanno dunque ragione i vescovi nel sostenere che non c’è alcuna correlazione tra l’incremento del numero degli stranieri e il numero di reati, tanto che i primi continuano a crescere, mentre i crimini, come ha annunciato anche recentemente il ministro Maroni, per fortuna calano.
Berlusconi però non si riferiva genericamente agli immigrati, ma più precisamente ai clandestini. Sono loro, a ben guardare i dati, a fare la differenza: circa l’80 per cento dei reati degli immigrati infatti sono commessi da irregolari. Il dato si desume anche dalle denunce. Quelle a carico degli stranieri sono il sei per cento, percentuale proporzionata alla popolazione residente straniera. Peccato però che la cifra fa riferimento a tutti gli stranieri, clandestini compresi, che si stima siano più di un milione: una cifra arrotondata per difetto e in continua espansione, mentre i regolari sono circa quattro milioni. Insomma un quinto degli stranieri compie i tre quarti dei crimini. Possibile?
Sì, ma anche qui bisogna introdurre una distinzione sulla tipologia dei reati commessi.
Innanzitutto va chiarito che tra coloro che oggi si trovano in condizione di clandestinità, solo il 30% è entrato in modo irregolare nel nostro territorio. Gli altri si «sono trovati clandestini» dopo che il loro permesso di soggiorno è scaduto. Viceversa, molti clandestini sono diventati regolari grazie alle varie sanatorie che si sono succedute negli anni.
Le condizioni di disagio e la mancanza di lavoro sono i fattori che più spingono gli immigrati a commettere reati: e più queste condizioni sono estreme più è facile «ingrossare la schiera della criminalità», come dice il premier. E allora, vediamo che tipo di reati gli stranieri compiono. Praticamente non rapinano banche (il 3 per cento delle denunce), né uffici postali (6 per cento). Mentre all’estremo opposto ci sono i borseggi (70%). È di mano straniera circa metà delle rapine nelle abitazioni, il 19% delle estorsioni, il 29% delle truffe e frodi informatiche. All’interno di queste percentuali, bisogna poi suddividere tra regolari e non. Ci sono alcuni crimini commessi quasi esclusivamente da irregolari (i furti, ad esempio) ed altri, invece, che vengono in parte compiuti anche da regolari (contrabbando, estorsioni, violenza carnale).
Infine, i numeri sui detenuti. Ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano lo scorso 20 gennaio alle Camere nel presentare lo stato della Giustizia in Italia che ci sono nel nostro Paese 65.067 detenuti, di cui 24.152 stranieri, ovvero il 37,1 per cento. Detto così, è una cifra abnorme, rispetto al 6 per cento di stranieri residenti. Va però considerato che il 30% degli immigrati finisce in carcere per infrazioni legate alla loro condizione di irregolari. E questo al netto del reato di clandestinità introdotto lo scorso agosto che benché abbia visto già 12.500 denunce, stenta a vedere le prime condanne. Un terzo dei clandestini è in prigione per trasgressione delle leggi in materia di immigrazione (14,7%), false dichiarazioni sull’identità (4,2%), resistenza a pubblico ufficiale (3,8%), falsità di privati in atti pubblici e atti falsi (3,4%). Inoltre, la motivazione dell’arresto degli stranieri è spesso legata a piccoli reati per i quali è prevista una pena detentiva di breve durata, e alla mancata concessione di misure alternative alla pena detentiva, che invece sono usualmente concesse agli italiani.
La Stampa 30.01.10