Seduto in prima fila, la toga sulle spalle, Gian Carlo Caselli si alza e lascia l’aula magna del Palazzo di Giustizia torinese non appena prende la parola il rappresentante del Guardasigilli. Fuori, il procuratore della Repubblica non si sottrae alle domande: «Ho aderito alla protesta per stare realmente dalla parte dei cittadini. Altro che casta – sbotta indignato – non siamo messi in condizione di rendere il servizio che la cittadinanza si aspetta».
Rientra per ascoltare l’intervento del procuratore generale Marcello Maddalena. «Lo condivido pienamente», commenta alla fine. «Chi ci impone certe riforme deve assumersene la responsabilità. Ogni giorno al nostro ufficio arrivano 150 nuove notizie di reato. Alcune comportano investigazioni complesse, con il ricorso (autorizzato da un giudice) ad intercettazioni telefoniche. Non si può gridare che è venuto il momento della tolleranza zero e sbrecciare, nel modo previsto dal disegno di legge approvato alla Camera, la linea Maginot delle inchieste penali: lo strumento delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Senza le quali migliaia di delinquenti resteranno impuniti e si avrà serio motivo di invocare più sicurezza».
Un suo aggiunto, Paolo Borgna, ha recentemente denunciato l’inutilità di tanti sforzi nella lotta alla clandestinità.
«Proprio così. Per carenze di mezzi e personale lo Stato riesce ad espellere solo 1 su 4 dei delinquenti clandestini quando escono dal carcere dopo aver espiato una pena. I tre che restano tornano nel circuito criminale, piccolo o grande che sia. Altro che perseguire i lavoratori stranieri. Ho aderito alla protesta per denunziare quella “pubblicità ingannevole” che sempre più caratterizza i proclami governativi in tema di giustizia. O la gente non deve sapere che di quelle 150 nuove notizie di reato al giorno una parte consistente si traduce in fascicoli giudiziari a perdere, ma che costano tempo di lavoro e impiego di risorse già all’osso?».
Alla sua procura, ieri, c’erano i vigili urbani di Torino a garantire le procedure burocratiche del turno arrestati.
«Sono ridotto dal mio ruolo a fare l’accattone, chiedendo in giro quei supporti indispensabili per consentire i servizi. Come procuratore della Repubblica spendo tutte le sante mattine a tappare con i dirigenti amministrativi le falle appena apertesi negli uffici. Qualcuno dovrebbe ben allarmarsi».
Non è così?
«”Sicurezza” è un’altra formula ingannevole, se un giorno sì e l’altro anche si urla a piena gola che ce ne vuole sempre di più – magari ad ogni costo, senza andare troppo per il sottile – e nello stesso tempo si vuole picconare il sistema giudiziario così com’è».
Parla anche del “Processo breve”?
«Un’altra formula ingannevole se si fissano dei termini – a pena di morte del processo – senza però fare nulla perché possano essere davvero rispettati. Sono a rischio diritti fondamentali dei cittadini, sempre meno tutelati. Che i cittadini sappiano che vogliono farci correre con le pinne, e non con le scarpe».
E’ tutta propaganda ingannevole?
«Come quella che definisce i magistrati una casta di fannulloni. Rientra in quel costume politico che ha reso pratica quotidiana l’insulto contro di noi, a colpi di definizioni tipo “cloaca, cancro, metastasi, disturbati mentali, plotoni di esecuzione”».
La Stampa 31.10.10