"Omsa, che crisi: a Faenza lavoratrici in rivolta", di Rinaldo Gianola
Lo stabilimento Omsa costeggia l’autostrada, un lungo cubo basso e grigio profilato di giallo. Al casello di Faenza si esce, si svolta a destra, poche centinaia di metri ed ecco i cancelli. Sono presidiati. Un tendone, un prefabbricato. Le bandiere di tutti i sindacati. Si gela ed è tornata pure la neve. Un paio di stufe fai-da-te attutiscono il freddo, un uomo taglia i bancali per far legna, una giovane lavoratrice col cappellino di lana targato Dolce & Gabbana organizza i turni del presidio: quattro ore a testa per ventiquattr’ore, senza mollare. Si raccolgono le disponibilità per l’intero mese di febbraio, si fa l’elenco dei numeri di telefono, ci si organizza per il cibo e il caffè. In caso di emergenza la “rete” mobilita tutti i lavoratori in pochi minuti. «Da qui non entra e non esce più niente, non vogliamo che si portino via i macchinari e i prodotti. Questo è il nostro posto di lavoro, non ce ne andremo così facilmente» avverte Valentina Drei, 35 anni, dipendente del «re del collant», il gruppo …