Per cominciare un pizzico di autocritica e un elenco di buone intenzioni. Poi, una serie di obiettivi poco ambiziosi e un sostanziale nulla di fatto per la ricerca di base. Il Programma Nazionale della Ricerca 2010/2012 non è ancora stato approvato – si aspetta a fine gennaio il parere del Cipe e poi l’approvazione del Consiglio dei ministri – e già lascia ampi margini di critiche ai membri della comunità scientifica. Tutti d’accordo con le premesse, cioè una presentazione a tinte fosche della situazione attuale della ricerca in Italia, e con le intenzioni di migliorare l’attuale situazione. Aprono dubbi e perplessità, invece, le azioni concrete e gli obiettivi individuati dal ministero dell’Università e della Ricerca. Primo ostacolo con cui si scontra il nuovo piano è la quantità di risorse. L’obiettivo dichiarato del ministero è di aumentare gli investimenti pubblici in Ricerca & Sviluppo che dovrebbero passare dall’attuale 0,56 allo 0,65 per cento del Pil. In pratica, l’obiettivo è quello di raggiungere la media di investimenti pubblici degli altri paesi europei. Nel 2012, inoltre, si spera in un ulteriore aumento per raggiungere quota l’1 per cento. Obiettivo, però, ben lontano dagli impegni presi nel 2000 a Lisbona che prevedono invece investimenti in ricerca non inferiori al 3 per cento del Pil. Impegni tra l’altro che andrebbero onorati entro la fine di quest’anno.
Teoricamente per realizzare il piano il ministero, entro il 2013, potrà disporre di oltre 10 miliardi di euro. Il conto è presto fatto: 2 miliardi di euro promessi dal ministero dello Sviluppo Economico, 1,6 miliardi di euro provenienti dai fondi strutturali europei destinati al piano Pon ricerca e competitività 2007-2013 per il Centro-Nord e circa 7 milioni di euro previsti dal ministero dell’Università e della Ricerca. Praticamente però l’unica cifra certa sarebbe quella dei 400 milioni di euro circa dei fondi First per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica che riguardano il 2009, ma che ancora non sono stati assegnati. Per le altre risorse bisognerà aspettare il verdetto del Consiglio dei Ministri.
Soldi a parte, i contenuti del Piano Nazionale Ricerca sembrano essere troppo sbilanciati a favore della ricerca applicata. Cosa che ha fatto molto arrabbiare i ricercatori fondamentali al momento impegnati in una raccolta firme e intenzionati a sottoporre all’attenzione del ministro Maria Stella Gelmini le loro proteste con un documento che verrà consegnato all’inizio del mese prossimo. All’inizio – circa una settimana fa – erano solo 57, ora i nomi dei ricercatori hanno superato quota 200.
Nel programma, infatti, gli obiettivi prioritari del ministero propendono verso un tipo di ricerca più pratica. Infatti, si prevede: l’attuazione di una politica industriale che stimoli le aziende a investire di più; la facilitazione dell’accesso all’innovazione delle Pmi e una politica industriale che favorisca maggiori investimenti nella ricerca; la responsabilizzazione degli enti pubblici e delle università e la creazione di una stretta collaborazione tra questi e le imprese. Per raggiungere questi obiettivi il Pnr presenta 18 linee d’azione che guideranno l’utilizzo delle risorse. I finanziamenti saranno indirizzati sostanzialmente a interventi di breve-medio periodo orientati e allo sviluppo di strumenti di governance, nazionali e regionali, integrati in contesti internazionali. Una parte residua sarà destinata a interventi di medio-lungo periodo, al rilancio del capitale umano e alle infrastrutture.
Ora però a destare maggiori polemiche non sono tanto i piani per il futuro, ma i mancati adempimenti del presente. Questa volta la segnalazione arriva dall’Associazione Precari della Ricerca (Apri) e riguardano i tanto attesi fondi del Firb «Futuro in Ricerca». Sui quasi 4 mila progetti presentati sono stati ammessi soltanto 204, quelli che hanno ottenuto il massimo punteggio (40/40). Di questi, verranno alla fine finanziati soltanto poco più di un centinaio.
Il Messaggero 22.01.10