Da anni tante amministrazioni di centrosinistra praticano politiche educative di integrazione. Diritto fondamentale è garantire a tutti – non uno di meno – l’accesso all’istruzione. Forse c’è un’astuzia di stampo leghista nell’idea del tetto del 30% di alunni immigrati per singola classe e qualunque misura che cerchi (subdolamente) di ghettizzare quei bimbi va combattuta: l’esito, brutale, sarebbe una Rosarno sotto altra forma. La composizione eterogenea di una classe scolastica è una forma peculiare di biodiversità educativa. È moralmente e civilmente educativa e produce risultati didattici più efficaci.
Condizione della qualità e del successo didattico è l’integrazione dei diversi alunni, la costruzione di un gruppo che fonda un equilibrio più avanzato capace di esaltare il metodo
didattico. Le classi non si possono comporre a caso perché non si può abbandonare a se stessi i bambini in un’aula senza pretendere reali risultati educativi. Lo squilibrio numerico può essere fatale. Ma se un bambino immigrato conosce perfettamente l’italiano, vive la nostra “cultura”, non va inserito in una quota di “diversità”.
Ritengo, non da oggi, che esistano due diritti inalienabili: il diritto all’ accesso all’istruzione e quello al successo educativo.
Chi si ferma al primo aspetto è culturalmente arcaico, oppure ha una vocazione propagandista sulla scuola “aperta”(masenza modelli educativi efficaci).
L’equilibrio si trova proprio nella programmazione della composizione delle classi come da anni fanno le scuole di Imola o di Vicenza (due esempi tra i tanti). Per come è stato prospettato, il tetto del 30% ha una sua rozzezza numerica, perché la realtà delle scuole è diversificata. È giusto rivendicare flessibilità, ma il Pd deve soprattutto pretendere investimenti.
Integrare costa. Costa la mediazione linguistica, costano i corsi di italiano aggiuntivi, costa il sostegno al diritto allo studio. Sono questi gli anticoprpi alle classi ghetto.
La battaglia politica non più rinviabile è quella per la piena cittadinanza dei bambini immigrati nati e cresciuti in Italia in una politica d’integrazione pilastro della qualità stessa dell’ istruzione. Nella circolare del ministro Gelmini si afferma – lo ha scritto il costituzionalista Michele Ainis – lo “ius soli” sullo “ius sanguinis”. Significa che gli alunni che sono nati in terra
italiana sono italiani e non c’è barba di uomo bianco leghista del Nord o barbaro di Rosarno che possa contrapporre tetti dal sapore xenofobo. Cittadinanza, diritto di voto, temi del nostro dibattito pubblico si fondano sullo “ius soli”. È un’occasione ed un’ opportunità che va colta da parte dei riformisti per incalzare la destra. Per ottenere risultati senza stare pregiudizialmente
alla finestra inneggiando al tanto peggio tanto meglio.
L’Unità 13.01.10
Pubblicato il 14 Gennaio 2010