La Sardegna rischia di chiudere per crisi: 4mila persone in cig,125mila disoccupati e 12mila che sopravvivono grazie agli ammortizzatori in deroga. A febbraio sciopero generale. La mappa delle aziende in difficoltà. La Sardegna chiude. E per evitare il tracollo scende in piazza con uno sciopero generale. Il sogno industriale degli anni 60 e 70 che hanno segnato il rilancio economico dell’isola è ormai alla fine. Le grosse industrie, e di conseguenza le piccole e medie che attorno a esse hanno iniziato a lavorare chiudono. Le vicende che hanno caratterizzato lo stabilimento Alcoa di Portovesme non sono che un tassello di un mosaico più grande che riguarda l’intera Sardegna. A Portovesme ci sono in ballo i 2000 posti di Alcoa, la vertenza potrebbe arrivare a una svolta a fine settimana, altrettanti posti di lavoro legati allo stabilimento Eurallumina, azienda controllata dalla russa Rusal dove i lavoratori sono in cig da un anno, e l’intero indotto. «Piccole e medie imprese che – spiega Roberto Puddu della Camera del Lavoro – lavorano nelle manutenzioni, nei service e garantiscono continuità produttiva alle grosse aziende».
LA CRISI NEI TERRITORI La crisi industriale non si ferma al Sulcis Iglesiente. A Villacidro, dove la Keller costruisce o rimette in sesto le carrozze per i treni, il timore è di finire in cassa integrazione perché l’azienda, a causa della soppressione della tratta Golfo Aranci Civitavecchia, non riesce a garantire consegne rapide delle commesse. Nella vicina Furtei, sempre nel Medio Campidano, è stata chiusa la miniera d’oro della canadese Sgme i lavoratori, in cig, sono mobilitati per avere un futuro almeno con i piani di ripristino ambientale delle aree degradate. Nel nuorese, a Ottana, 1500 dipendenti dei gruppi industriali, Equipolymers in testa, sperano in una soluzione. La tensione sale nel nord. Da cinque giorni vivono accampati nella torre aragonese di Porto Torres e chiedono interventi istituzionali affinché la loro fabbrica non venga chiusa: sono i dipendenti della Vinyls di Porto Torres, che opera nel petrolchimico. La crisi si ripercuote sul resto dell’economia sarda. «La cassa integrazione è salita del 300% – fa sapere Giampaolo Diana, consigliere regionale Pd – Ci sono 4mila persone in cig, 125mila disoccupati e 12mila che sopravvivono grazie agli ammortizzatori in deroga». E l’emergenza sembra destinata a crescere: almeno 5-6mila i posti a rischio. Una situazione ben nota anche ai sindacati confederali regionali che per il 5 febbraio hanno convocato lo sciopero generale della Sardegna. O meglio, rimarcano Enzo Costa, Mario Medde e Francesca Ticca, rispettivamente segretari di Cgil, Cisl e Uil, «vertenza Sardegna», perchè le diverse emergenze che si registrano nelle varie province fanno parte di un unico sistema. Per oggi è prevista
L’Unità 13.01.10
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E in Sicilia è subito sciopero, di FABIO POZZO
Epifani: «Non esiste nessun’altra attività che possa dare lavoro. Laggiù non c’è altro»
«Riabilitare lo stabilimento di Termini è da pazzi», dice Marchionne. Parole che investono la Sicilia come un ciclone: in fabbrica è subito sciopero. Nel reparto montaggio la prima squadra di operai incrocia le braccia alle 7.30.
I sindacati non ci stanno. Non credono alle parole dell’ad di Fiat Group, per il quale non è conveniente produrre auto in Sicilia. «È il posto fisico che è sbagliato, niente a che vedere con la qualità dei lavoratori», spiega il manager. «La verità è che la Fiat vuole produrre in Italia solo 900 mila auto e le vuole produrre solo al Nord», tuona il presidente della Regione, Raffaele Lombardo.
Marcia indietro. «Marchionne affronta la questione in modo non veritiero. Parla di equilibrio tra domanda e offerta? Bene, in Italia si producono 600 mila auto e se ne vendono un milione. La Fiat dunque aumenti la produzione, dato che l’Italia è all’ultimo posto in Europa nel rapporto tra produzione-consumi», puntualizza il segretario della Fiom di Termini, Roberto Mastrosimone.
«In Italia dobbiamo tornare a produrre almeno 1,3 milioni di auto: questa è la nostra realtà, qual è quella di Marchionne?», gli fa eco il numero uno della Uilm, Antonino Regazzi, che propone agli altri sindacati uno sciopero di due ore dei lavoratori dell’intero gruppo, da farsi entro fine mese. Si deciderà domani, nell’ambito della riunione delle sigle di categoria. Nel frattempo, oggi gli operai di Termini si fermeranno per otto ore, con presidio davanti all’Assemblea regionale siciliana, convocata nel pomeriggio proprio sulla crisi del sito Fiat.
Sono i livelli d’occupazione a preoccupare. Che accadrà quando la Fiat cesserà di produrre la Ypsilon a Termini, nel 2012? «Non c’è nessun’altra attività che può dare lavoro, in un’area dove non c’è altro. Se quella prospettiva dovesse finire, non ci sarebbe davvero che disperazione e disoccupazione», è la fotografia che scatta Guglielmo Epifani. «I lavoratori precari della Fiat non possono essere abbandonati così come non è accettabile che lo stabilimento cessi la sua attività» ribadisce il leader della Cgil, che parla di «rigidità della Fiat ingiustificata».
Lombardo, alla fine, sbotterà: «Adesso basta. Marchionne dica la verità sul perché del suo accanimento contro lo stabilimento di Termini. Il popolo siciliano vuole lasciarsi alle spalle l’assistenzialismo e la mafia. Vogliamo una Sicilia produttiva e non vogliamo nessun aiuto dalla Fiat, ma, al contrario, vogliamo noi aiutare la Fiat. Vogliamo produrre automobili moderne e ad alta tecnologia. Siamo l’unica Regione che è pronta ad investire in totale 400 milioni di euro in infrastrutture e innovazione tecnologica». Chiede l’imepgno del governo, Lombardo. E si appella al ministro Claudio Scajola anche il sindaco di Termini, Salvatore Burrafato: «Subito il tavolo di confronto tra azienda e sindacati». La speranza è che Roma stemperi l’incubo.
La Stampa 13.01.10
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“Quelle frasi sono una provocazione” e gli operai in mensa decidono lo stop, di Emanuele Lauria
Una giornata di alta tensione nello stabilimento siciliano, alla vigilia della manifestazione di oggi. Dal salone dell´auto di Detroit alla sala mensa dello stabilimento Fiat di Termini Imerese la distanza non è poi così lunga. E quando il volto di Sergio Marchionne, lunedì sera, è comparso in un monitor della fabbrica siciliana, davanti agli operai riuniti in assemblea, sono partiti fischi e improperi. Sul video, in sovrimpressione, le parole del manager che ribadiva la chiusura di Termini. Dal vivo le urla delle tute blu, sedate solo dopo qualche minuto dai sindacalisti. È in quel preciso momento, nella pancia della vecchia Sicilfiat, che è partita l´ultima rivolta dei dipendenti. E così ieri mattina, nel reparto montaggio, agli operai non è servita neppure la lettura dei quotidiani per decidere gli scioperi spontanei, a rotazione, delle squadre di lavoro. In cento hanno incrociato le braccia per un´ora. Attività solo rallentata, in vista dello stop di otto ore programmato per oggi, con la manifestazione di Fiom, Fim e Uilm davanti alla sede dell´Assemblea regionale siciliana. Gli operai dello stabilimento Fiat e dell´indotto partiranno con sei pullman e con auto private alla volta di Palermo. E ora Roberto Mastrosimone, sindacalista della Fiom e leader storico delle proteste termitane, teme «che la situazione possa degenerare». Mastrosimone, davanti ai cancelli dello stabilimento, dice che «questa gente, già in fibrillazione per la prospettiva di perdere il posto di lavoro, è stufa delle provocazioni. È stufa di sentirsi dire un giorno sì e l´altro pure che Termini non ha speranze. O che il problema della Sicilia è quello di essere troppo lontana dalla Lombardia. Sia chiaro: il sindacato farà di tutto per mantenere l´ordine. Ma della tensione crescente non possiamo essere noi i responsabili».
Termini, in questo martedì di freddo pungente, è divisa fra rabbia e rassegnazione. Nello stabilimento della Magneti Marelli va in scena un´assemblea dei 134 dipendenti. «Con Fiat è inutile discutere – dice Vincenzo Polizzi, 35 anni, manutentore – L´azienda ha già deciso: si chiude. Ora faccia qualcosa la politica. Dov´è Berlusconi, per cui ho votato? Dove sono i palermitani Alfano e Schifani? Dov´è Gianfranco Micciché, che era vicesindaco di Termini Imerese fino a qualche settimana fa? Loro, come siciliani, non si sentono offesi da Marchionne?». Anche la moglie di Polizzi lavorava nell´azienda dell´indotto Fiat. «È stata licenziata l´anno scorso, fra poco potrebbe toccare a me – dice – Ci tocca campare in quattro con un unico reddito da 1.300 euro al mese. Sa cos´ha chiesto la mia bambina di 8 anni a Babbo Natale? il lavoro per i papà del paese. Nella mia cittadina, Trabia, vivono 250 famiglie di operai Fiat. La chiusura dello stabilimento sarebbe una tragedia. In Sicilia vengano pure i cinesi o gli indiani: basta che ci garantiscano una stabilità d´impiego».
Storie familiari di ansia e incertezza. Francesco Conte, 46 anni, lavora alla Lear che fabbrica sedili, il fratello più piccolo è impiegato alla Bienne Sud, dove si verniciano i paraurti: «Marchionne? Dalle sue parole traspare una punta di razzismo. Non ci venga a raccontare che non siamo produttivi, che mantenere Termini costa troppo. Le spese di trasporto sono cresciute perché a partire dal 2005 hanno trasferito altrove le fabbriche dell´indotto. Oggi le fiancate delle Ypsilon le portano da Melfi. Ogni Tir ne può contenere solo quattro, si rende conto della spesa?». Il futuro è un´incognita, in Sicilia altre vertenze come quella dell´Italtel di Carini segnano la fine del sogno dell´industrializzazione. Ma le tute blu di Termini non si arrendono. «Non ci resta che la lotta – prosegue Conte – Siamo troppo lontani dalla pensione e tornare a fare gli agricoltori è impossibile. Come competere, oggi, con gli extracomunitari che raccolgono le arance per 20 euro a giornata?».
La Repubblica 13.01.10