Le occupate sono il 47,2% della popolazione. 47,2 contro 70,3. Non la metà, ma quasi. Sono le percentuali di donne e uomini italiani che hanno un lavoro secondo l’Istat. Nel rapporto «Noi Italia. Cento statistiche per capire il Paese in cui viviamo» viene indicato come nel mercato del lavoro ci siano ancora molte differenze di genere: le donne occupate sono appunto il 47,2% della popolazione di riferimento (impressionante il gap con la media Ue dello stesso anno: 57,2%), gli uomini il 70,3%. Ovviamente sono escluse da questa statistica le casalinghe, lavoro a tutt’oggi non riconosciuto come tale. I dati sono del 2008, anno in cui è cominciata la crisi nel nostro Paese: dunque il tasso di occupazione ha segnato una battuta d’arresto dopo un lungo periodo di crescita (era occupato il 58,7% della popolazione nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni), mentre per la prima volta dopo oltre un decennio la disoccupazione è tornata ad aumentare (6,7% rispetto al 6,1 del 2007).
SETTORE PUBBLICO – Nel rapporto si parla di pubblica amministrazione e anche di lavoro nero. Con un altro dato inquietante: nel sud Italia, viene spiegato, «quasi un lavoratore su cinque può essere considerato irregolare». Per quanto riguarda il settore pubblico, nel 2008 rappresentava il 14,4% della forza lavoro, un punto percentuale in meno rispetto al 2000. Un valore, scrive l’Istat, che colloca il nostro Paese nella parte bassa della graduatoria europea, al 23° posto.
PICCOLE IMPRESE – Sul fronte privato, la dimensione media delle imprese italiane resta molto piccola: circa 4 addetti per impresa. In Europa è superiore soltanto a quella di Portogallo e Grecia (dati 2007). Al contrario, in Italia ci sono 66 imprese ogni mille abitanti, valore tra i più elevati in Europa, e il tasso di imprenditorialità è pari al 32,2%, valore quasi triplo rispetto alla media europea. Dunque piccole imprese ma diffuse in modo capillare. Ma anche qui si registra una grossa differenza tra nord e sud: tra le imprese del sud la solvibilità di quelle che ricorrono a finanziamenti bancari risulta «sistematicamente inferiore rispetto al centro-nord». Questo si riflette sui livelli dei tassi d’interesse, mediamente superiori di circa un punto percentuale indipendentemente dalla durata del prestito.
MEZZOGIORNO – Il divario tra sud e centro-nord è evidente anche nella produzione di ricchezza: qui emerge «l’insufficienza della produzione del Mezzogiorno, dove tutte le regioni sono costrette a importare beni e servizi a sostegno di consumi e investimenti per una quota del Pil spesso superiore a 20 punti percentuali», evidenzia l’Istat. In generale, l’indice di ricambio nel mondo del lavoro ha sfiorato, nel 2008, quota 120%: in altri termini, le persone potenzialmente in uscita dal mercato del lavoro sono il 20% in più di quelle potenzialmente in entrata. Questo squilibrio pone il nostro Paese al primo posto in Europa, a molta distanza dalla media comunitaria. I paesi Ue che insieme all’Italia presentano indici di ricambio superiori a 100 sono sei: Danimarca, Grecia, Repubblica Ceca, Finlandia, Spagna, Bulgaria. In Italia, inoltre, il Mezzogiorno si colloca su posizioni molto distanti rispetto al resto del Paese: l’indice di ricambio, al 1° gennaio 2009, è pari al 91,9% contro il 140,2% del centro-nord.
ANZIANI LONGEVI – Infine l’anagrafe. Come si sa il nostro è un Paese di vecchi e questo dato viene riconfermato: abbiamo 143 anziani ogni 100 giovani. Un dato (aggiornato al gennaio 2009) che ci colloca al secondo posto in Europa, dopo la Germania. La regione più anziana è la Liguria, la più giovane la Campania. E se siamo agli ultimi posti in Europa per la natalità, svettiamo invece per la longevità. Nel 2008, il tasso di natalità, 9,6 nati per mille abitanti, era tra i più bassi a livello comunitario mentre il tasso di mortalità 9,8 per mille, è prossimo a quello medio europeo. Con una vita media di 84 anni per le donne e di 79 anni per gli uomini. L’Italia si colloca tra i paesi a bassa fecondità, con 1,41 figli per donna nel 2008: si tratta comunque del livello più alto registrato negli ultimi dieci anni e va attribuito soprattutto alla componente straniera.
NUOVI ITALIANI – E per quanto riguarda gli immigrati, nel 2008 le concessioni di cittadinanza italiana sono state poco meno di 40mila. Un dato in crescita contenuta rispetto al 2007, dopo un forte incremento registrato nel 2006. I cittadini stranieri in possesso di un valido permesso di soggiorno erano nel 2007 poco più di due milioni, mentre al 1° gennaio 2009 la popolazione residente straniera era di quattro milioni di persone, il 6,5% della popolazione residente in Italia. Quasi il doppio rispetto al 2001. Circa il 51% degli stranieri possiede un titolo di studio fino alla licenza media, il 38,4% ha un diploma di scuola superiore e il 10,5% una laurea.
da www.corriere.it