L’accordo con l’Udc nel Lazio, grazie alla figura chiave della “sua” Polverini lo riempie di soddisfazione per la capacità di guardare al futuro cui allude. E non ha mancato di esibirlo, in un lungo incontro ieri con il suo futuribile alleato Pier Ferdinando Casini. Eppure, Gianfranco Fini è in queste ore alle prese con una operosa, quanto magmatica, riflessione sul da farsi. Sul tavolo le ipotesi ci sono tutte: da quella di mettersi a «rinegoziare» il proprio peso ai vari livelli di governo e di partito, a quella di una scissione – con buona pace dei Bonaiuti e dei Gasparri che ieri si sono affrettati a smentirla. Eppure, nel primo caso si tratta di un passo indietro verso la politica politicante che l’ex leader di An non ha gran voglia di fare, perché credeva che per lui con la nascita del Pdl e l’ingresso alla Camera «il tempo dei negoziati fosse finito».
Gruppo autonomo
Nel secondo caso, quello del gruppo autonomo, si tratta di una ipotesi che il presidente della Camera non vorrebbe prendere in considerazione se non nel caso in cui fosse davvero «costretto». Proprio per questo, spiegano i suoi, la prospettiva potrebbe prendere corpo solo dopo le Regionali. A meno che, ed è questa la vera novità, «nel momento in cui la Camera affronterà i temi della giustizia e le altre riforme», così come su singole leggi come biotestamento e cittadinanza, non venisse fuori qualcosa di davvero indigeribile. «Se Fini si trovasse di fronte a leggi che trova in contrasto con il proprio ruolo istituzionale, se fosse messo nella condizione di trovarsi correo, la sua battaglia la farà fino in fondo, fino al punto di far saltare tutto», spiegano. Non sono più i tempi in cui «ingoiare» in nome dell’armonia col Cavaliere. L’atteggiamento corrisponde del resto allo stato dei rapporti con Berlusconi. Un incontro con lui, spiegano, «è fissabile ma non ancora fissato». Si parla della prossima settimana, ma nessuno dei due ha finora fatto una mossa per affrettarlo: e la telefonata del Cavaliere per il compleanno del co-fondatore, fatta il 3 gennaio ma resa nota ieri, assieme a un generico impegno a «vedersi», finisce indirettamente per confermarlo. Sì è, del resto, che Fini non ha ancora deciso con quale atteggiamento presentarsi a un incontro sul quale non ripone grandi aspettative. Sa che, con ogni probabilità, si uscirebbe con una ritrovata armonia a parole «destinata a durare nei fatti quindici giorni».
La condanna delle poltrone
Un «ultimo tentativo», comunque, il presidente della Camera è naturalmente disponibile a farlo. Nonostante continui a pensare che «Berlusconi si comporta da monarca». Nonostante sia convinto «che è lui ad armare la penna di Feltri». Ma ha ormai capito che non gli sarà possibile animare il dibattito interno stando fuori dalla stanza del comando. Così, per quanto non gli piaccia l’immagine di «cercatore di poltrone che vogliono appiccicarmi addosso», per quanto non abbia «intenzione di impiccarsi al caso Santanché», sa che se vuole «rinegoziare» il proprio peso nel Pdl, se non vuole condannarsi all’inifluenza, proprio da lì dovrà passare. Dai posti. È nelle cose, del resto, che nei vertici del partito l’uomo che dovrebbe rappresentarlo è Ignazio La Russa: un ex colonnello del quale ormai lui «non si fida affatto» (e che potrebbe voler sostituire con Bocchino). È nelle cose d’altra parte, che Berlusconi ha buon gioco ogni volta che gli risponde: «Le decisioni non le prendo io le prende il partito». Bella forza, spiegano i finiani: «Negli organismi dirigenti ci sono praticamente solo berlusconiani». Così, per quanto non abbia voglia, Fini è consapevole che, se vuol restare nel Pdl, dovrà mettersi a rinegoziare tutto: «Perché così non va. Berlusconi ha fatto tutto ciò che ha voluto, si è preso gli uomini e i posti, non mi permette di dissentire e mi tira addosso pure il Giornale», si è sfogato coi suoi. I margini di rilancio, e persino di vivibilità, si riducono ogni giorno di più. Ma Fini attende. A meno che Berlusconi non gli dia l’occasione – per lui rischiossissima di far saltare tutto con pretese eccessive sull’attività legislativa, dal legittimo impedimento in giù.
L’Unità 09.01.10