Sicurezza o libertà? Questo antico dilemma continua ad accompagnarci, diviene più stringente quando terrorismo e criminalità si fanno più aggressivi.E dopo l´11 settembre l´imperativo della sicurezza è divenuto dominante, fino a cancellare quasi ogni altro riferimento. Questo spirito è tornato in questi giorni, nelle reazioni non sempre composte che hanno accompagnato il fallito attentato a un aereo in volo verso gli Stati Uniti. Dobbiamo rassegnarci a una continua erosione dei diritti, a un lento declinare dei principi della democrazia?
Anche in tempi difficili è necessario che la politica mantenga la testa fredda, non ceda alle emozioni, né alla tentazione di credere che la risposta al terrorismo debba per forza portare a limitazioni delle libertà. Un piccolo esercizio di memoria può aiutarci. All´indomani del sanguinoso attentato alla stazione di Atocha il re Juan Carlos sottolineò la necessità di tener fermi i principi dello Stato di diritto; e la Regina Elisabetta, dopo l´attentato nella metropolitana di Londra, disse che i terroristi «non cambieranno il nostro modo di vivere». Questa fedeltà democratica torna nelle parole del ministro dell´Interno americano, Janet Napolitano: «Abbiamo un nemico determinato, ma non possiamo sigillare gli Stati Uniti, Questo non è il nostro paese. Questi non sono i nostri valori». Viene così segnato un confine che, in democrazia, non può essere varcato, pena la stessa perdita di democraticità del sistema che si vuole tutelare.
Oggi l´attenzione è tutta concentrata sui body scanner, su questi penetranti strumenti di controllo che, nati al servizio della medicina, consentono di “leggere” il corpo delle persone, rivelandone ogni dettaglio, dunque anche qualsiasi oggetto che si trovi su di esso. Una nuova bacchetta magica? Sembrerebbe di sì, a giudicare almeno dalle dichiarazioni di chi ha sostenuto che i body scanner sono lo strumento più sicuro per prevenire il terrorismo. Non è la prima volta che l´enfasi tecnologica prende la mano dei politici, distorcendo la realtà e suggerendo soluzioni che possono rivelarsi pericolose e inefficaci.
La distorsione è resa evidente dal fatto che la discussione si è quasi esclusivamente polarizzata sullo strumento tecnico, mettendo in secondo piano l´aspetto più preoccupante della vicenda: il fallimento dei controlli americani più che l´inefficienza dell´aeroporto di Amsterdam. Le autorità americane erano in possesso delle informazioni riguardanti l´attentatore, sapevano che si sarebbe imbarcato su quel volo, e non sono state in grado di incrociare questi dati che avrebbero consentito di impedire la partenza di quella persona. Una responsabilità primaria dell´intelligence, non della tecnologia. Un fallimento amministrativo prima che tecnico.
Sottolineo questo punto perché la delega alla tecnologia sta diventando una pericolosa deriva, alla quale la politica si abbandona per scansare questioni difficili. In questi giorni, considerando tra l´altro anche l´enorme costo di una installazione generalizzata di body scanner, si sta mettendo l´accento proprio sulla necessità primaria di potenziare gli apparati di intelligence. Anche per una ragione banale. Ammesso che gli strumenti tecnologici riescano a rendere sicuri i voli, non per questo i terroristi abbandonerebbero i loro progetti. I casi della Spagna e della Gran Bretagna, ricordati prima, mettono in evidenza come il terrorismo ricorra a modalità diverse, si adatti al mutare delle situazioni. La lotta al terrorismo, dunque, richiede prima di tutto politiche adeguate, fondate soprattutto su conoscenza e prevenzione. E della prevenzione fa parte anche l´insieme delle politiche verso i paesi dai quali si pensa che i terroristi possano partire. Sì che appare sbagliata la sbrigativa misura presa dall´amministrazione americana, che ha individuato quattordici paesi i cui cittadini saranno sottoposti a controlli particolari. Immediate le reazioni, che hanno sottolineato il rischio di trasformare in “sospetti” tutti i cittadini di quei paesi, alimentando proprio la reazione antiamericana.
In questo quadro, la questione dei body scanner deve essere analizzata da tre punti di vista: efficienza, sostenibilità, rispetto della privacy (che è parola ormai inadeguata, poiché in casi come questo sono la dignità e la libertà delle persone ad essere a rischio). Sappiamo che quegli strumenti non sono in grado di individuare oggetti nascosti nelle “cavità” del corpo, sì che già si prevede che i terroristi potrebbero usare le tecniche già sperimentate dai trafficanti di droga. L´investimento economico è molto impegnativo, anche per il numero di body scanners che dovrebbero essere installati, per evitare che i tempi dei controlli diventino insostenibili. E che cosa dire dello “striptease virtuale” al quale le persone sarebbero assoggettate?
Proprio questo rischio è da mesi al centro dell´attenzione della Commissione europea, che ha consultato i garanti europei e l´Agenzia per i diritti fondamentali, ricevendo risposte molto critiche, che mettono in evidenza la necessità di una serie di garanzie: uso di quegli strumenti solo nel rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità e in base a specifiche disposizioni di legge; possibilità di rifiuto di sottoporsi al body scanner, accettando controlli manuali; adozione di tecnologie che riducono la figura del passeggero, rendendone invisibili i caratteri sessuali e gli eventuali difetti fisici, individuando solo eventuali oggetti; separazione tra il personale che vede fisicamente la persona e chi effettua il controllo; cancellazione delle immagini raccolte. Opportunamente l´Enac, l´ente che regola tecnicamente i voli, ha fatto sapere che chiederà a Bruxelles indicazioni sulle caratteristiche dei nuovi strumenti. Ma non siamo di fronte ad una semplice questione tecnica: dall´Unione europea dovrebbero venire soprattutto indicazioni relative alla compatibilità di tali misure con la Carta dei diritti fondamentali, che si apre affermando proprio l´inviolabilità della dignità della persona.
Non è un richiamo retorico. Non è accettabile la lenta erosione di libertà e diritti, la mitridatizzazione della società di fronte a misure illiberali. Analizzando sul “Guardian” il fallimento dei controlli americani, Gary Young ha opportunamente sottolineato che la strategia di Bush contro il terrorismo ha avuto come effetto non una maggior protezione dei cittadini, ma l´incremento della paura, sfruttata per aumentare controlli sociali e militarizzazione, per guadagnare consenso. È una diagnosi che può valere per tutti.
La Repubblica 06.01.10
Pubblicato il 6 Gennaio 2010