Con solo l’1% del Pil siamo tra gli ultimi in Europa, ma qualche speranzaarriva ora dalle aziende che hanno speso 9.545 milioni sui 18.231 totali. Lo Stato taglia e le imprese tamponano. Fino a qualche tempo fa era davvero impensabile immaginare che i privati investissero in Ricerca & Sviluppo molto più di quanto facessero le istituzioni pubbliche. Eppure, si deve proprio a loro la piccola fiammella che brilla, seppur debolmente, in quel tunnel buio in cui è stata relegata la ricerca in Italia. Si deve a quei 9.545 milioni di euro, sui 18.231 milioni totali, che le imprese investono in R&S se oggi c’è ancora la speranza di poter risalire lentamente nella classifica dei paesi più virtuosi.
«Le imprese italiane – commenta Nicoletta Amodio, dirigente Ricerca e innovazione di Confindustria – credono di più nella ricerca. Lo dimostrano i recenti dati Istat. Negli ultimi anni i loro investimenti sono cresciuti significativamente, merito degli sgravi fiscali ma anche di una maggiore maturità del settore». Tant’è che il 90 per cento della spesa delle imprese in R&S viene pagata dalle tasche stesse della aziende. Certo, c’è ancora molto da fare stando alle ultime cifre snocciolate da Eurostat. Tra i 27 paesi dell’Unione Europea, nel 2007, siamo stati collocati agli ultimi posti come spesa in ricerca. Il nostro paese, arenato in quel misero 1% del Pil, è ben lontano dal raggiungere quota 3% come stabilito dagli «obiettivi di Lisbona». Per ora questi obiettivi sono stati superati dalla Svezia (3,6%) e dalla Finlandia (3,47%). La Germania con il suo 2,54%, la Francia con il 2,08% e la Gran Bretagna con l’1,79% ci sono di sicuro più vicini di noi.
Del resto ogni Finanziaria che si è susseguita ha in pratica rosicchiato buona parte dei fondi destinati alla ricerca: siamo passati dai 125.967 milioni riservati alla ricerca nel 2001 a 96 milioni di euro. Ora sono le imprese a dare qualche piccolo segnale positivo. «Mentre la spesa per R&S delle istituzioni pubbliche – dice Amodio – si è ridotta di quasi il 9 per cento, quella delle imprese è aumentata del 15,2%».
Questa differenza tra pubblico e privato si riscontra anche per quanto riguarda il personale impiegato nella ricerca. Mentre infatti rimane sostanzialmente immutata, rispetto al 2006, la consistenza nelle istituzioni pubbliche, nelle imprese si è registrato un aumento del 17% e del 5% nelle università.
Drammatica, invece, rimane la situazione per la ricerca di base, poco attraente per i privati e al palo come gli altri settori per il pubblico. Nel 2007 la spesa, infatti, si è del tutto ridimensionata: complessivamente rappresenta il 26 per cento del totale, con un massimo del 56,7 per cento nelle università e un minimo del 5,5 per cento nelle imprese.
Al contrario crescono le quote della spesa per R&S dedicate sia alla ricerca applicata sia, soprattutto, allo sviluppo sperimentale. «Ancora una volta – dice Amodio – è il settore privato a guidare la crescita con un incremento della spesa che raggiunge il 31,9 per cento.
Il Messaggero 05.01.10
Pubblicato il 5 Gennaio 2010