attualità

Dall´Italia del boom alla crisi globale: "Ecco come ci siamo fermati", di Roberto Mania

La nazione che viaggiava a ritmi “cinesi” guardava Mike Bongiorno e cantava Mina Dice il sociologo De Rita: “Oggi siamo un po´ più saggi, ma anche più statici, vecchi”. L´Italia del boom e l´Italia dello sboom. L´Italia del miracolo economico e l´Italia della più grande recessione, unite, mezzo secolo dopo, dal tasso di inflazione che ormai non mette più paura. E che, anzi, diffonde nostalgia. Ci sono voluti cinquant´anni per ritrovare nelle tabelle dell´Istat un dato così basso dell´indice dei prezzi, come quello di ieri: 0,8 per cento, quasi fossimo nel 1959, quando addirittura ci si permetteva di viaggiare in deflazione, – 0,4 per cento, e ci preparavamo, con i nostri prodotti, a conquistare il mondo e tutti, comunque, a diventare consumatori. Era l´inizio di uno sviluppo economico «impetuoso e caotico», come disse Guido Carli, già governatore della Banca d´Italia.
Dopo la lunga tumultuoso e tormentata galoppata attraverso gli anni Settanta e Ottanta, l´inflazione è tornata indietro, lì, ai nastri di partenza di un´altra epoca. Ma di similitudini così smaccate non ce ne sono proprio altre. Spiega Carlo Scarpa, ordinario di Economia all´Università di Brescia: «Le cause di un´inflazione così bassa sono totalmente diverse. Nel ‘59 i prezzi delle materie prime segnavano calma piatta, oggi l´inflazione allo 0,8 per cento è frutto della crisi». Ecco, la Grande Crisi che ha congelato i consumi, rattrappito la produzione, generato disoccupazione, bloccato, infine, l´inflazione.
Non era così l´Italia del ´59, dove Domenico Modugno trionfava a Sanremo e Mina scalava le classifiche con “Tintarella di luna”. Il Belpaese marciava a ritmi stratosferici, almeno in rapporto a quelli di questi ultimi decenni, in cui a stento si è superata l´asticella dello zero virgola. Allora, nell´Italia appena uscita dalla ricostruzione postbellica, il Pil aumentava mediamente del 5 per cento. Un´andatura mantenuta dal 1950 al 1973, anno del primo shock petrolifero. L´Italia post-rurale, che scopriva il consumismo e la seduzione televisiva con “Lascia o raddoppia” e “Il musichiere”, era una locomotiva, al pari della Germania. E la lira era la valuta più stabile del mercato tanto da aggiudicarsi (nel ‘60) l´”Oscar della moneta”. Gli italiani lavoravano tanto e guadagnavano poco: secondo uno studio della Banca d´Italia tra il 1953 e il 1961 le retribuzioni crebbero del 46,9 per cento contro un incremento medio della produttività dell´84 per cento. Quella differenza di quasi 40 punti – e che fa venire in mente la Cina di oggi – spiega il “miracolo”. Il conflitto sociale che scatenerà, con la simbolica conquista della Scala Mobile, la corsa dei prezzi doveva ancora arrivare. L´inflazione non c´era: i prezzi all´ingrosso rimasero ai livelli del 1953 e quelli al consumo aumentarono, rispetto ai primi, solo del 20 per cento. Un «sistema autopropulsivo», l´ha definito Jacopo Mazzini nel volume “Il miracolo economico italiano” (Mulino), che rendeva competitive le nostre merci.
È l´industria (soprattutto quella grande) che realizza il boom, la stessa che oggi sta pagando il prezzo più alto della crisi. Un esempio: nel 1951 l´Italia produceva 18.500 frigoriferi, nel 1957 arrivò a 370.000, dieci anni dopo a 3,2 milioni. Eravamo il terzo produttore mondiale. All´alba del 2010 di frigoriferi made in Italy di fatto non ce ne sono più: la “Antonio Merloni” è fallita, sta cercando acquirenti, e lo stabilimento di Nocera Umbra è in balìa della cassa integrazione. Tra il 1957 e il 1961 la Fiat raddoppiò la produzione di auto: da 300.000 a 600.000. Cinquant´anni dopo dagli impianti italiani della Fiat ne escono 650.000. Il gruppo di Torino copriva oltre l´80 per cento della domanda interna, contro poco più del 30 del 2009. Gli italiani che fino ad allora si erano spostati in bicicletta, in Vespa o in Lambretta (quella che si produceva alla Innse di Lambrate acquistata dalla Camozzi dopo la clamorosa protesta dei lavoratori saliti su una gru solo qualche mese fa) vanno a comprare la “500” o la “600”. Per questa ci vogliono quasi 600.000 lire e un buono stipendio da operaio si aggira tra le 70 e le 80 mila lire. Si acquistano i frigoriferi Ignis (200 mila lire) e la lavatrici Candy Automatic (160 mila lire). Ragiona Giuseppe De Rita, sociologo, l´uomo del Censis: «Quella del micro-ciclo ´59-´67 e dell´inflazione bassa è un´Italia giovane, come quella del micro-ciclo delle piccole imprese della “famiglia spa” degli anni Settanta o del made in Italy degli anni Ottanta». E quella di adesso, con l´inflazione ferma? «È un´Italia con saggezza, ma un po´ ferma». Insomma, vecchia.
La Repubblica 05.01.10