Siamo tanti: ad aprile gli abitanti del pianeta raggiungeranno quota sette miliardi. Mangiamo. Chi più chi meno – purtroppo – ma mangiamo tutti. La Terra è quella che è, non cresce di pari passo con il numero dei suoi inquilini. Come se non bastasse negli ultimi cento anni, dice un rapporto Fao, ha perso il 75% della varietà alimentari disponibili per chi ci vive. Colpa del clima che cambia, delle grandi città che crescono senza sosta, dell’agricoltura che ha sposato il sistema industriale moderno mandando in soffitta la figura del vecchio coltivatore diretto. Il primo risultato? L’agricoltura occidentale è basata su quattro coltivazioni: mais, riso, soia, grano. Una comunità thailandese di appena 600 abitanti può contare su 387 specie diverse.
Le risaie non bastano
I prezzi delle materie prime alimentari che schizzano verso l’alto sono le prime scaramucce della prossima guerra mondiale: quella per il cibo. Dietro alle quotazioni boom c’è la speculazione – come sempre sui mercati – ma c’è anche la corsa dei paesi emergenti. Cinesi, indiani, brasiliani usciti dalla povertà che li ha perseguitati per secoli e, giustamente, oggi vogliono mangiare come gli occidentali. L’International rice institute ha già chiarito, tanto per cominciare, che «non c’è abbastanza riso per sfamare il mondo ed è sempre più difficile tenere il prezzo intorno ai 300 dollari a tonnellata». La soglia non è scelta a caso: solo a quel prezzo chi vive nelle zone più povere del mondo può permettersi di mangiarlo e, nello stesso tempo, di coltivarlo con profitto. Secondo l’istituto per fermare il caroriso bisognerebbe aumentare la produzione mondiale di 10 milioni di tonnellate l’anno per i prossimi venti. Impensabile.
L’indice della Fao
A metà dicembre la stessa Fao ha registrato un balzo dell’indice che misura il livello dei prezzi alimentari. È tornato ai livelli di settembre 2008, alla fine di un’estate che ha visto bruciati tutti i record precedenti di prezzo: all’epoca la Fao aveva individuato tra le cause scatenanti il basso livello delle scorte, la crescita delle superfici impiegate per produrre biocombustibile, l’aumento del prezzo del petrolio. Questa seconda fiammata, meno violenta della prima ma probabilmente destinata a durare di più, si deve ad altri fattori che si sono aggiunti ai primi. Le restrizioni imposte da diversi governi alle esportazioni – proprio nell’estate del 2008 -, la debolezza del dollaro, l’appetito crescente degli speculatori che possono contare su riserve di liquidi eccezionali. Così, dalla Cina al Golfo Arabo, i fondi sovrani fanno incetta di terreni agricoli in tutto il mondo. In Italia fanno shopping le compagnie energetiche tedesche e francesi: vogliono il nostro mais, ma lo usano per fare biogas, non per mandarlo in tavola.
Lo zampino dei trader
I maghi della finanza, tra l’altro, si buttano sul mercato delle materie prime alimentari spingendo i prezzi anche in conseguenza della debolezza dei mercati su cui si muovono di solito. I tassi di interesse viaggiano in prossimità dello zero, le quotazioni del petrolio restano volatili e poco affidabili, del mercato azionario è bene fidarsi fino a un certo punto. E infatti, a margine del suo Outlook 2009, la Fao annota: «Nonostante i fondamentali di domanda e offerta continueranno a determinare il mercato dei prodotti di base, occorre vigilare sul sistema alimentare globale, ormai suscettibile ad eventi esterni che nulla hanno a che vedere con l’economia alimentare». Una banca americana gioca con i mutui-spazzatura e il piatto si spaghetti costa il doppio. È la globalizzazione.
«Ma le scorte sono buone»
Hafez Ghanem, vicedirettore generale della Fao, prova a rassicurare gli animi: «Oggi lo stato di buona salute delle scorte e le prospettive favorevoli per la produzioni riducono il rischio di nuove impennate dei prezzi per i prossimi sei mesi». Ma ammette che la Fao «terrà gli occhi aperti sui possibili sviluppi della situazione». Anche perché non sono solo gli uomini d’affari a speculare. Da febbraio 2009 i prezzi del latte e dei suoi derivati sono aumentati dell’80%, primo fra tutti il latte in polvere. Il rapporto Fao non si spinge a previsioni sul futuro prossimo. «I prezzi, nei mesi a venire, dipenderanno dall’Unione europea». Si tratta di capire se il Vecchio Continente, che ha contingentato la produzione per anni con il famigerato sistema delle quote, sarà o meno disponibile a mettere sul mercato internazionale le sue grandi riserve. Si tratta di attendere che un produttore decida di contribuire ad abbattere il prezzo di ciò che produce. Si capisce che non è cosa facilissima.
Latte, zucchero, grano, caffé, te, riso: la fiammata dei prezzi non risparmierà nessun paese e – soprattutto – nessun genere alimentare. Il latte e lo zucchero sono contenuti in quasi tutti i cibi, il grano è la base dell’alimentazione occidentale insieme con la carne. Così molto rapidamente i costi della guerra del cibo si trasferiranno nello scontrino del supermercato. Pizze, cappuccini, gelati, risotti pronti, pacchi di pasta, formaggi, frutta e verdura: i rincari sono in vista. Nessuno si sottrarrà alla guerra del cibo.
La Stampa 29.12.09