ROMA – Co.co.pro. senza sussidio. In oltre centomila hanno perso il lavoro per la crisi, più di 10 mila hanno chiesto l´indennità “una tantum” prevista dalla legge, ma meno di 1.500 l´hanno ottenuta. Sono i numeri di un “flop”, al termine di un anno nel corso del quale il governo ha ripetuto che chiunque avesse perso il lavoro sarebbe stato aiutato. Ma, appunto, non è andata proprio così. Tanto da spingere il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ad annunciare ieri che dopo le regionali il governo procederà, con un disegno di legge delega, ad una riforma degli ammortizzatori basata su due pilastri: una indennità di disoccupazione su base generalizzata e una Cig integrativa “privata”, gestita direttamente dalle parti sociali.
Nel frattempo, la montagna di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e “in deroga”), costruita per fronteggiare la recessione, ha ammortizzato la crisi del lavoro standard a tempo indeterminato, ma ha continuato – di fatto – a lasciare senza tutele il mondo del lavoro precario. Quello che nel nostro paese coincide largamente con i giovani, il cui tasso di disoccupazione è arrivato al 27 per cento. Così – bilancio alla mano – quel mondo è stato soltanto sfiorato dalle misure adottate dall´esecutivo. Non è un caso che lo stesso governatore della Banca d´Italia, Mario Draghi, abbia ricordato nei giorni scorsi – dopo averlo già fatto nelle sue Considerazioni di fine maggio – che un milione e 600 mila lavoratori sono privi dell´ombrello degli ammortizzatori sociali, disegnati sul modello del lavoro “tipico”, non su quello flessibile. E non è un caso che il governo, con la Finanziaria, abbia provato ad allargare un po´ l´area dei tutelati per quanto “una tantum”.
I numeri del bilancio 2009 sull´indennità per i co.co.pro. sono dell´Inps che solo nei giorni scorsi, dopo ripetute sollecitazioni, li ha forniti ai sindacati.
I dati, dunque, di un anno, che ha decimato il lavoro precario, il fronte più esposto alla tempesta provocata dal crollo della domanda mondiale. Agli sportelli dell´Inps sono arrivate 10.144 domande dai collaboratori a progetto; ben 8.272 sono state respinte; 230, al 14 dicembre, erano ancora da definire; e ne sono state accolte 1.457. In media a ciascuno di questi lavoratori sono andati 1.690 euro (pari al 20 per cento del reddito percepito nel 2008) che divisi per i dodici mesi dell´anno corrispondono a circa 140 euro al mese. Nemmeno le già mezze vuote casse dello Stato si sono accorte dell´esborso per i precari: nella Finanziaria dello scorso anno si stanziarono circa 200 milioni, alla fine ne sono stati spesi esattamente 2.463.764,02, pari all´1,23 per cento.
In Lombardia – regione che guida la classifica – sono stati indennizzati 254 collaboratori contro 1.695 richieste. Al secondo posto il Lazio con 180 domande liquidate contro 1.388 arrivate.
Ma perché è andata così? La risposta di Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil, ma largamente condivisa anche dagli economisti del lavoro, è questa: «Perché i requisiti di accesso stabiliti dal governo sono troppo alti e quindi finiscono per escludere la maggior parte dei collaboratori. Ma, si badi: quella di escludere è stata una scelta. Si sono illusi migliaia di lavoratori, si è fatta propaganda e poi si sono usate le risorse stanziate per altre finalità».
Il governo ha riservato l´indennità solo ai co.co.pro., lasciando fuori tutte le cosiddette false “partite Iva”, dietro le quali si nasconde vero e proprio lavoro subordinato, e i collaboratori della pubblica amministrazione, area dove si concentra una fetta rilevante del precariato. Poi ha fissato alcuni paletti: la mono-committenza, cioè la collaborazione con un solo soggetto, l´iscrizione per non meno di tre mesi alla Gestione separata dell´Inps, un numero di mensilità alle spalle non inferiore a tre e non superiore a 10 nel corso del 2009, un reddito infine, conseguito nell´anno precedente superiore a 5.000 euro e pari o inferiore a 13 mila. Il risultato si è visto. Né i correttivi dell´ultima ora possono far pensare che cambi lo scenario. Resta sostanzialmente tutto uguale a parte l´indennità che passa dal 20 al 30 per cento del reddito che, a sua volta, alza il limite superiore a 20 mila euro. «Ma così – sostiene Fammoni – anche nel 2010 poche persone prenderanno un´indennità, comunque bassa, e decine di migliaia resteranno senza niente». L´economia sta riprendendo ma per i co.co.pro. il 2010 non si presenta comunque come l´anno della risalita, nemmeno con più di 140 euro al mese di indennità.
La Repubblica, 21 dicembre 2009
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