cultura

“Sos per la lettura qualcuno salvi le biblioteche italiane”, di Simonetta Fiori

Se è vero che l´identità di un paese si rispecchia nelle sue biblioteche, la fotografia nazionale appena prodotta dal ministero dei Beni Culturali ci restituisce il ritratto di un´Italia smarrita, priva di memoria, che volge le spalle alla sua stessa tradizione. Nell´arco di cinque anni, le risorse finanziarie per l´attività delle biblioteche pubbliche statali – quarantasei istituti, tra cui la Braidense, la Laurenziana, la Malatestiana, l´Angelica e la Casanatense – sono state ridotte della metà (da trenta milioni a sedici milioni di euro), con un depauperamento ancora più marcato per le due Biblioteche Nazionali Centrali di Roma e Firenze, custodi delle stesse fonti dell´identità nazionale italiana. Dall´acquisizione dei libri alla valorizzazione, dalla prevenzione alla tutela, dai servizi per il pubblico all´informatizzazione, non c´è passaggio nell´attività delle biblioteche che oggi non mostri limiti e disfunzioni. Il confronto con la British Library di Londra o la Bibliothèque Nationale de France finisce per essere mortificante. E per l´istituto romano di viale Castro Pretorio, si rischia la chiusura.
Il merito di aver prodotto un quadro aggiornato del “costume bibliotecario degli italiani” è della stessa Direzione generale per le Biblioteche. «Mi auguro che sia lo strumento per ottenere maggiore attenzione politica e soprattutto un incremento di fondi», spiega il direttore Maurizio Fallace. Il rapporto redatto da una commissione di esperti non è sospettabile di ambiguità: la situazione appare molto critica, quasi disperata. Diminuisce la qualità dei servizi, decresce di conseguenza anche la domanda, ossia il numero dei prestiti e delle persone ammesse al servizio. «Se non si aggiornano le collezioni librarie e se non si ha la possibilità di catalogare tempestivamente il materiale acquisito, anche l´utenza è scoraggiata», recita il rapporto del ministero. Per inquadrare il malessere, basterà qualche cifra. Se nel 2005 si spendeva per il patrimonio bibliografico 8.263.311 euro, la previsione per il 2010 è di 3.605.877. La spesa per il funzionamento del servizio bibliotecario informatico passa da cinque milioni a meno di quattro milioni di euro, mentre per la tutela dei libri e dei documenti la perdita è ancora più secca: da 3.525.966 a 650.000 euro (consentita appena la manutenzione degli impianti di sicurezza, antifurto o antincendio, mentre mancano le risorse per i lavori di spolveratura, rilegatura, disinfestazione). Anche la catalogazione nel Sistema Bibliotecario Nazionale mostra una vera emorragia: dagli 823.821 euro del 2005 agli 84.645 euro previsti per il prossimo anno. Cifra del tutto inadeguata: solo per il materiale del Novecento, sono almeno cinque milioni i volumi non ancora catalogati (il loro recupero costerebbe circa venti milioni di euro).
Emblema del grave declino è rappresentato dalle due Biblioteche Centrali, di Roma e Firenze. Quella romana risulta oggi la più sacrificata, con una dotazione di 1.590.423 euro (rispetto al 2001 la decurtazione è pari al 50 per cento): per un buon funzionamento occorrerebbero almeno trenta milioni di euro. Il paragone con le sorelle europee è schiacciante: la dotazione annua della Bibliothèque Nationale de France è 254 milioni di euro, quella della British Library supera i 159 milioni. Se riferiti al personale, i dati sono ancora più clamorosi. Anche in questo caso, la comparazione può essere utile: alla Bibliothèque Nationale lavorano 2.651 persone, in quella inglese 2.011, a Firenze 205, a Roma 264: complessivamente le due biblioteche nazionali italiane hanno un patrimonio librario equivalente a quello parigino – circa 14 milioni di volumi – ma vi lavora meno di un quinto del personale impiegato a Parigi.
Le conclusioni del rapporto non fanno presagire niente di buono. Per la Biblioteca Nazionale di Roma, «le risorse attualmente disponibili non bastano a garantire neppure la pura e semplice sopravvivenza dell´istituto». Come distruggere la propria carta d´identità, quella in cui siamo venuti meglio.
La Repubblica 18.12.09