PD e giovani democratici contro gli sceriffi della rete. Anche perché le leggi ci sono già. Gentiloni: “La Polizia postale basta per colpire i criminali”. Gozi: “L’aggressione al premier non giustifichi limitazioni alla libertà, facciamo leva sulle responsabilità personali”.
Il PD rifiuta la violenza senza se e senza ma. Per questo ha condannato subito il ferimento di Berlusconi da parte di Massimo Tartaglia, gesto sconsiderato e ingiustificabile. Un gesto che non può essere tollerato in un paese civile. Un gesto che, però, non può nemmeno diventare il pretesto per scatenare nuove tensioni e improbabili azioni restrittive contro la libertà sul web.
Eppure sta succedendo proprio questo. I fatti di domenica stanno dando origine a una sequela di dichiarazioni che invece di stemperare il clima di tensione, foraggiano il nervosismo. “Guai a sottovalutare, c’è una brutta aria” dice il ministro Alfano. “Berlusconi poteva essere ucciso” aggiunge il ministro dell’Interno Roberto Maronia che annuncia che presto arriverà la stretta sui siti internet, forse già dal prossimo Consiglio dei Ministri, assieme a una stretta sulle manifestazioni, con un decreto.
Una proposta “inaccettabile e antidemocratica” secondo il deputato del PD Sandro Gozi che bolla come “ingiustificati e dannosi” i tentativi della maggioranza di controllare e di dare una normativa dura ed inflessibile alla rete: “Si tratta di tentativi mirati esclusivamente a mantenere lo status quo delle cose e, elemento ancora più grave, ad imbavagliare la libertà di manifestazione del pensiero sancita dalla nostra Costituzione. Il confronto democratico, proprio in quanto tale, deve prevedere un utilizzo libero della rete e svincolato da ogni forma di controllo esasperato: ogni affermazione che circola sulla rete – continua Gozi – può essere condannabile o non condivisibile ma non per questo deve essere censurata, semmai si dovrebbe fare leva sulle responsabilità personali”.
Per Paolo Gentiloni, presidente del forum Comunicazioni del PD, “le norme attuali e l’azione della Polizia postale sono sufficienti per colpire i comportamenti criminali in rete”. D’altronde tali norme tese a limitare gli spazi della rete risulterebbero velleitarie oltre che sbagliate visto che “per colpire chi guida ubriaco a 200 all’ora – ricorda l’ex ministro – non si chiudono le autostrade”.
“No agli sceriffi della rete”. La capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, spera che Maroni “non intervenga sul codice di procedura penale per appesantirlo e snaturarlo, sarebbe profondamente sbagliato sottrarre alla magistratura la verifica di ciò che è lecito e ciò che non lo è per affidarlo a sceriffi della rete. E’ un modo pericoloso di limitare la libera manifestazione delle proprie idee, una sorta di censura preventiva. E poi, ancora una volta si annunciano modifiche al codice penale sulla scia del clamore mediatico e dell’emotività popolare causati da eventi drammatici, nonostante – conclude – le norme vigenti e gli strumenti in mano alla magistratura sono già ampiamente in grado di far fronte ai comportamenti illeciti”.
Le leggi in vigore. Sono diverse a partire dal decreto legislativo 70 del 2003 ricordato a YouDem dal senatore del Pd Francesco Sanna: “Esiste già una normativa, il decreto legislativo 70 del 2003, che è applicazione della direttiva europea sulla società dell’informazione. Basterebbe applicare questo decreto e non inventare nuove discipline tese a restringere quelle possibilità di diffondere le proprie opinioni che internet mette a disposizione. E’ necessario distinguere tra la libertà di pubblicare pagine su internet e la responsabilità di chi scrive per eventuali contenuti illeciti”. Sanna ha dato a Maroni anche un altro consiglio: “Eviti di proporre modelli simili a quello cinese che, con la scusa di colpire i contenuti malsani di alcuni siti, censura e punisce ogni dissenso politico. Ci sarebbe molto più di un germe autoritario in una proposta che veda il governo decidere sulla natura lecita o illecita dei contenuti dei siti o dei blog politici. Questo Paese ha vissuto momenti molto più bui di quello attuale eppure non è mai stata sacrificata la libertà di esprimere le proprie opinioni attraverso ogni mezzo di informazione”.
L’oscuramento dei siti è una via sbagliatissima, e “suona solo come un pretesto per un giro di vite delle libertà democratiche: il governo si fermi, non proceda all’oscuramento dei siti internet anche di quelli che diffondono messaggi di istigazione a delinquere”, chiede Roberto Zaccaria, vicepresidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio. Anche lui ricorda come le norme per contrastare questi fenomeni ci sono già e “non occorre far ricorso a nuove leggi che sarebbero in chiaro contrasto rispetto alla scelta fatta dal parlamento nel 2006 con la legge 85 sui reati di opinione. Invitiamo il ministro Maroni ad una maggiore prudenza e a tornare indietro rispetto ad una via sbagliatissima come è quella di limitare la libertà di espressione su Internet, una scelta fatta da governi autoritari che vengono aspramente criticati in tutto il mondo. Credo che sia inopportuna la proposta del governo, annunciata dai ministri Maroni ed Alfano, di introdurre nel nostro ordinamento l’apologia di reato attraverso Internet. Innanzitutto, per evitare l’esistenza di norme più restrittive scritte proprio per la rete: sarebbero in controtendenza rispetto all’impostazione accolta dalla legge 85/2006 che ha modificato il codice penale in materia di reati di opinione. Inoltre, non è davvero auspicabile che sia spezzata l’ampia libertà di cui gode il Web, ormai largamente acquisita”.
Insomma, per il PD c’è il rischio concreto che iniziative di questo segno contribuiscano ad arroventare il clima di tensione anziché distenderlo. “Sarebbe più utile – consiglia Fausto Raciti, segretario nazionale dei Giovani democratici – occuparsi di rafforzare la scorta del presidente del Consiglio”.
“Invece di pensare a censure su internet, il Governo e la maggioranza non potrebbero limitarsi a gestire meglio l’ordine pubblico e la sicurezza del Paese?” così il deputato PD Enzo Carra ha commentato, proprio su Facebook, le comunicazioni all’Aula di Montecitorio del ministro dell’Interno sull’aggressione al presidente del Consiglio. Una condotta strabica, perché se su facebook nascono, e vengono subito sospesi, gruppi che inneggiano a Tartaglia, sui muri di Torino compaiono scritte imbecilli dello stesso genere, come ha denunciato l’onorevole Giorgio Merlo, del PD. Eppure Maroni non ha sentito il bisogno di riferirne in Aula, mentre La Stampa ha riportato l’invito che i responsabili degli apparati della sicurezza hanno rivolto in queste ore all’entourage del premier, ribadendo che contro il «gesto sconsiderato di un folle l’unica difesa è in atteggiamenti più prudenti» in caso di manifestazioni di piazza o in incontri con i cittadini, almeno fino a quando il clima politico non sarà più tranquillo.
Allora piuttosto che di parlare di un “network dell’odio” come ha fatto il capogruppo dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, è giusto analizzare i problemi veri e abbandonare la polemica. La necessità di distendere il clima non può passare dal tentativo di scaricare sull’opposizione il ruolo di “mandante morale”, né tantomeno su giornalisti che si limitano a esprimere la propria opinione e a fare informazione o su media come internet.
Ma come ha ricordato il vicepresidente dei senatori del Pd Luigi Zanda se alla Camera Bersani ha condannato in modo chiaro e inequivocabile l’aggressione subita da Silvio Berlusconi, l’onorevole Cicchitto con il suo intervento di contro tutta l’opposizione, la libera stampa, la televisione e la magistratura “aveva una rara carica di violenza verbale agli antipodi di quanto auspicato dal Capo dello Stato”. Ecco…chi controllerà i controllori?
Anche perché per dirla con le parole di Bersani “dopo l’aggressione a Berlusconi, c’é il rischio che ci sia chi si traveste da pompiere ma fa l’incendiario. Mi pare che nel dibattito di oggi alla Camera ci sia stato questo rischio e il capogruppo del Pdl ha dato un forte contributo”. Ma non nella direzione indicata dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di mettere fine all’esasperazione dei toni.
Gia.Ro. – Ma.Lau.
www.partitodemocratico.it
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ROMA
Dopo l’aggressione al presidente del consiglio Silvio Berlusconi e la proliferazione di gruppi sui social network pro e contro Massimo Tartaglia, si accende la discussione politica riguardo le nuove norme sul Web che il governo sta valutando mentre spariscono da Facebook quei gruppi che «incitano alla violenza».
«Il governo interverrà per porre fine a quella che è una vera e propria istigazione a delinquere attraverso Internet», dice il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, in un’informativa alla Camera, e immediatamente sale la protesta politica non solo dell’opposizione. E da questa mattina sono spariti da Facebook i gruppi nati nei giorni scorsi (anche se nuovi stanno nascendo). Fermo restando che «è un luogo dove le persone possano discutere apertamente ed esprimere le proprie opinioni, su Facebook non è permesso promuovere o pubblicare contenuti violenti e minacciosi», dice in una nota ufficiale il popolare social network, precisando che esaminerà «molto attentamente tutte le richieste di intervento con contenuti relativi al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e reagirà tempestivamente per rispondere, eventualmente cancellando ogni tipo di contenuto che minacci direttamente una persona».
Intanto, le dichiarazioni di Maroni fanno salire la protesta politica. «Le norme attuali e l’azione della Polizia postale sono sufficienti per colpire i comportamenti criminali in rete. Non vorrei che in nome di questo obiettivo, il governo pensasse invece a norme che limitino la libertà di internet», dice Paolo Gentiloni, presidente del forum Comunicazioni del Pd. «Giù le mani dal web. Vanno perseguiti i reati non limitata la libertà», gli fa eco Dario Franceschini in un messaggio su Twitter. Secondo l’europarlamentare dell’Idv Luigi De Magistris, «per fermare la violenza che corre su Internet, non c’è bisogno di nuove leggi, basterebbe applicare con rigore quelle già esistenti». Sulla stessa lunghezza d’onda Ffwebmagazine, il periodico online della Fondazione Farefuturo che invita il governo a non cedere «alla “sindrome cinese”, la tentazione della censura preventiva». «Guai a promuovere provvedimenti illiberali – ammonisce anche il leader dell’Udc Casini – Le leggi esistenti già consentono di punire le violazioni. Negli Usa Obama riceve intimidazioni continue su Internet, ma a nessuno viene in mente di censurare la Rete».
Anche per Andrea Monti, avvocato ed esperto della Rete, nuovi interventi normativi sono inutili perchè «il codice penale già punisce svariati reati che si possono commettere anche online come la diffamazione, l’ingiuria e l’istigazione a delinquere». «Anche dal punto di vista degli strumenti investigativi – spiega Monti – la magistratura ha la possibilità di accedere ai dati di traffico e dunque di risalire al luogo dove si trovava il computer utilizzato per compiere l’atto illecito. Sottrarre al controllo della magistratura la verifica di ciò che è lecito e ciò che non lo è – conclude – significa legittimare forme di giustizia sommaria e in definitiva limitare gli spazi di democrazia per i cittadini onesti senza incidere sui comportamenti illeciti dei malintenzionati».
La Stampa 16.12.09
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Il governo prepara il giro di vite sulla rete Basterebbe applicare le leggi che ci sono già,
di Francesco Costa
Il primo passo di qualsiasi ragionamento sul cosiddetto “giro di vite” che il governo si appresta a discutere non può che essere il rifiuto dell’opportunità di legare questo tema ai fatti di domenica scorsa. Ha senso ragionare su come la rete abbia cambiato il modo in cui le persone comunicano e discutono, e su come in virtù di tutto questo possa essere utile una legislazione moderna e adeguata? Sicuramente sì. Ha senso mettere in relazione questa discussione con l’infinita mole di commenti che l’aggressione ha suscitato nei luoghi di lavoro, nelle case, nei bar e immancabilmente anche in rete? Sicuramente no.
Allo stesso modo, bisognerebbe sgombrare il tavolo dalle leggende metropolitane che infestano un dibattito in cui, con ogni evidenza, i principali attori non sanno di cosa parlano.
L’anonimato
La lotta all’anonimato è uno di questi temi ricorrenti che non trova alcun riscontro nella realtà. I membri dei gruppi di Facebook a sostegno di Tartaglia erano tutti registrati col proprio nome e il loro cognome. Anche chi utilizza uno pseudonimo o un nickname su Facebook o sul proprio blog può essere identificato in un batter d’occhio dalla polizia postale, che gode da tempo della completa collaborazione da parte dei provider. La cosiddetta lotta all’anonimato è una completa boutade: già oggi qualsiasi azione compiuta su Internet porta con sé dati e informazioni sul suo autore.
L’apologia di reato
Le diffamazioni, le apologie di reato, lo stalking compiuti in rete sono punibili grazie alle norme già vigenti. Succede già adesso, ogni giorno, che persone siano processate e, se colpevoli, condannate per cose illecite che hanno fatto o scritto sui loro blog o sui social network. Allo stesso modo, il regolamento di Facebook prevede la rimozione dei contenuti violenti: basta aspettare qualche ora perché le pagine incriminate vengano rimosse, come infatti è successo ieri con le pagine pro e contro Tartaglia.
Noi e la rete
Altro discorso è quello su come internet abbia cambiato il modo di comunicare delle persone. Tra innumerevoli trasformazioni utili e positive, si registra una tendenza crescente alla provocazione. Prima dei gruppi pro Tartaglia ci sono stati i gruppi anti immigrati promossi dal figlio di Bossi, quelli contro Balotelli, Luxuria e chissà chi altro. Iniziative di solidarietà si accompagnano a invettive contro questo e contro quello. Gioca un qualche ruolo il progressivo colmarsi della distanza che un tempo separava il virtuale dal reale: codici e linguaggi una volta confinati negli stadi o sui muri trovano oggi in rete molto più spazio rispetto a prima. Ha senso ragionare sul perché certe cose emergano più su Facebook e meno sui blog, così come succede più nei bar che nelle aule universitarie; pensare però che la soluzione a questo problema sia la chiusura dei siti equivale a proporre l’abbattimento dei muri per combattere le scritte o l’abolizione dei bar per cancellare le battute volgari. Per farne una discussione sensata servirebbe un salto di qualità da parte di due soggetti fondamentali nel racconto e nella percezione di quello che accade. Il primo è la politica, che non dovrebbe approfittare di un manipolo di scriteriati per promuovere provvedimenti paragonabili solo a quelli in vigore in stati come la Corea del Nord. Il secondo è il giornalismo, che dovrebbe resistere alla ghiotta tentazione dell’allarme e dello scandalo, evitando di trasformare in notizia qualsiasi idiozia venga scritta in rete o sui muri dei bagni.
L’Unità 16.12.09