Il prestigio e l’esperienza di Luigi Berlinguer inducono a leggere con attenzione tutti i suoi ragionamenti di politica universitaria. Nel suo intervento dell’8 dicembre molti sono assolutamente condivisibili e toccano uno scottante nodo politico del Partito Democratico. Esistono temi sui quali maggioranza e opposizione possono confrontarsi lealmente per collaborare a realizzare riforme necessarie al Paese? A quali condizioni e con quale reciproco riconoscimento di ruoli? Indubbiamente l’università è un tema adatto. E’ un sistema strategico che dovrebbe rimanere al riparo dalle fluttuazioni elettorali. E’ in grave crisi di credibilità per cui una riforma è universalmente ritenuta urgente. Infine è un tema sul quale il PD ha messo in campo proprie organiche proposte riformatrici in un disegno di legge del maggio scorso e il Ministro Gelmini ha appena presentato al Parlamento il suo. Ben venga dunque un serio e approfondito dibattito parlamentare, senza irrigidimenti in difesa dell’esistente ma anche senza diktat di testi blindati. Quando è in gioco il futuro dell’Italia nessuno può chiamarsi fuori, ha scritto giustamente Berlinguer.
Questo auspicio non può però offuscare quanto distanti siano le posizioni sui singoli dettagli (il diavolo, ahimè, è sempre lì) e quanto cammino debba essere compiuto per ravvicinarle. L’apertura di fiducia che Berlinguer sembra offrire a Gelmini appare prematura.
Sul governo degli atenei e sul reclutamento dei docenti i due testi sono effettivamente simili ma non identici. Non dovrebbe essere difficile trovare un punto di incontro anche se alcune questioni si presentano intricate: la nomina del consiglio di amministrazione, i poteri del senato accademico, il rapporto tra seri (e internazionali!) concorsi di reclutamento presso ciascun ateneo e un’altrettanto seria abilitazione nazionale a lista aperta e ad accesso continuo, cioè la mediazione che è stata individuata tra i concorsi locali della legge Berlinguer del 1998 che tante critiche hanno attirato e i precedenti concorsoni nazionali di infausta memoria.
Però le regole non bastano, il nodo cruciale rimane una seria valutazione a posteriori della qualità dei risultati. Berlinguer ne è convinto come tutti ma sembra non accorgersi dell’evidente cambio di prospettiva impresso da Gelmini. L’Agenzia di valutazione (ANVUR) istituita nel 2008 è stata subito bloccata per apportare modifiche tutto sommato marginali al suo regolamento. E’ ancora in alto mare, due anni perduti inutilmente. Ma soprattutto è preoccupante l’indirizzo presente nel disegno di legge governativo, persino in contrasto con il nuovo regolamento ANVUR messo a punto dallo stesso Ministro, con cui tutto il potere di valutazione torna in mano al Ministero e l’ANVUR si riduce nei fatti a mero organo di consulenza tecnica. Altro che un’Agenzia autonoma, indipendente, terza rispetto al Ministero e agli atenei, di cui parlano le direttive e le best practices europee!
Vi sono altri punti della proposta ministeriale che lasciano dubbiosi. Che dire del quiz nazionale gestito dall’ex Istituto Nazionale delle Assicurazioni, adesso SpA di proprietà del Tesoro, cui dovranno sottoporsi gli studenti neo-maturi per ottenere le borse di studio per puro merito? Sulle quali, peraltro, il Governo non stanzia un euro col risultato che si dovranno attendere improbabili donazioni di privati o, più probabilmente e negativamente, che si dovranno intaccare i fondi per il diritto allo studio degli studenti “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”, fondi che sono già ora insufficienti a garantire sostegno a tutti coloro che rientrano nei parametri di legge per alto merito e basso reddito.
Si abolisce poi la terza fascia docente, quella dei ricercatori, rendendo ancora più accidentato il percorso verso la docenza universitaria. Al di là delle teorie, è oggi una scelta condivisibile? Attualmente i docenti sono equidistribuiti nelle tre fasce mentre decine di migliaia di precari, spesso molto qualificati, lavorano in condizioni pre-sindacali, spesso senza tutele sociali e talora addirittura senza salario. Non si affolleranno tutti costoro, insieme ai ricercatori messi ad esaurimento, nella caccia ai rari posti di professore associato con risultati potenzialmente devastanti e probabili future promozioni ope legis altrettanto devastanti?
Il tutto dovrà realizzarsi “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, quindi a carico di un sistema che è il meno finanziato d’Europa in proporzione sia al PIL che alla spesa pubblica e su cui incombono inesorabili i pesanti tagli voluti dal Governo. Riforme e risorse devono avanzare di pari passo, ripete Berlinguer in sintonia con la linea tradizionale del PD. Ma mentre già si scorgono le riforme arrivare baldanzosamente, non v’è nessuna traccia all’orizzonte di nuove risorse. L’università si sente sempre più isolata, come il tenente Drogo nella fortezza sperduta nel Deserto dei Tartari.
Europa 15.12.09