Il 29 giugno del 2009 nei pressi della stazione di Viareggio un treno merci che trasporta un carico di Gpl tra Trecate e Gricignano deraglia. L’assile del carro cisterna n.33807818210-6 si spezza. È una strage. La fuoruscita di gas scatena l’inferno. Lo scoppio e l’incendio che segue si inghiottono un quartiere. L’incidente, uno dei più drammatici avvenuti in Italia, provoca 31 morti e un numero imprecisato di feriti. Di quella strage Viareggio porta ancora le ferite. Ha pianto le sue vittime, le ha celebrate e sepolte. Adesso attende giustizia. Aspetta di capire perché sia potuto accadere e chi ne è il responsabile. Anche alla luce del fatto che quel treno che correva a novanta chilometri orari non aveva le autorizzazioni necessarie per circolare. Non tutte almeno. Non quella che regola il trasporto ferroviario di merci pericolose.
Così dicono le procedure tuttora in vigore che l’Unità ha visionato. Raccontano un’altra storia rispetto a quella finora emersa. Una storia tutta italiana. Questa. La procedura In Italia chi voglia trasportare materiale pericoloso, come il merci di Viareggio con il suo carico di gas propano liquido, deve rispettare una procedura particolare: quella emanata l’8 luglio 2003. Ha un nome lungo. I ferrovieri non hanno il dono della sintesi. Si chiama «Procedura operativa per la messa in servizio sulla rete ferroviaria italiana di contenitori cisterna e carri cisterna utilizzati per il trasporto di merci pericolose». Il documento è di 31 pagine, presenta una sigla (RFI TCCS PR PO 02 002 A) e porta una firma: quella di Michele Elia Nel 2003 era direttore della Direzione Tecnica della società Rfi. Oggi ne è il numero uno. Rete ferroviaria italiana, è la società del gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce l’infrastruttura. Nel 2003 aveva anche il potere di regolare e garantire la gestione della sicurezza. Nel 2008 questo compito è stato trasferito a un soggetto terzo: l’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie. Quella lettera è indirizzata a tutte le Imprese Ferroviarie, e fra queste Trenitalia, e all’allora amministratore delegato di Rfi Mauro Moretti oggi capo delle Fs holding. Che cosa c’è scritto esattamente nel documento? Che nel trasporto interno di merci pericolose l’Impresa Ferroviaria è identificata nel «soggetto preposto» a inoltrare la richiesta dimessa in servizio dei «carri cisterna».
La domanda deve essere inoltrata al Cesifer (Certificazione sicurezza imprese ferroviarie). Nel 2003 era sotto le Fs oggi è gestito dall’Ansf. È il Cesifer, si legge ancora al punto II.4, a provvedere con un proprio tecnico al controllo finale. In poche parole è compito della società che trasporta inviare la documentazione e ottenere la certificazione di sicurezza. Ma nel caso di Viareggio chi è l’impresa ferroviaria? È Trenitalia, società del gruppo Fs. Il trasporto, che veniva esercitato dal 2005, delle cisterne Gpl da Trecate – Gricignano, infatti, era effettuato per contro di Fs Logistica spa (già Cargo Chemical), sempre società del gruppo Fs, mediante carri noleggiati dalla Gatx (già Kvg), ma la trazione era assicurata da Trenitalia con il contratto CH000740. Era Trenitalia che avrebbe dovuto inoltrare la documentazione per la richiesta di messa in servizio dei carri. E sarebbe stato solo il primo passo. Per far circolare quei carri Trenitalia avrebbe dovuto farne un altro. Made in Poland Nei contratti di affitto tra Gaxt e Fs Logistica, si evince che cinque dei 14 carri utilizzati dal merci di Viareggio erano stati costruiti in Polonia.
Tra questi anche quello che ha provocato l’incidente (vedi foto). Che vuol dire? Che i cinque carri di fabbricazione polacca, anche se omologati in Germania, avrebbero dovuto essere sottoposti a un’ulteriore certificazione. Non solo l’autorizzazione del Cesifer, ma anche, in base al punto II.4.2 (parere tecnico), «il nulla osta» della «Commissione Permanente per le prescrizioni sui recipienti per gas compressi». Queste autorizzazioni esistono? Il gruppo Ferrovie non le ha mai mostrate. Né ai magistrati che tuttora indagano sull’incidente, né al sindacato Orsa che per primo ha sollevato la questione. Ufficialmente sostiene di essere in possesso di tutte le autorizzazioni. Anche se, in due lettere a firma di Michele Elia, amministratore delegato di Rfi, e di Vincenzo Soprano, numero uno di Trenitalia, si dice che il gruppo non era tenuto ad averle. Per due ragioni. La prima: secondo Fs, la procedura dell’8 luglio 2003 avrebbe dovuto essere applicata soltanto ai contenitori cisterna, cioè alla struttura sovrastante, ma non ai carri, cioè a quello che sta sotto. Per i serbatoi successivamente al noleggio si è riscontrato che era stata avanzata una richiesta di verifica. Eppure in base alla procedura, al punto II.4.3, si dice chiaramente che «il tecnico ispettivo inviato da Cesifer (…) accertate le condizioni di manutenzione del carro, lo stato di conservazione del serbatoio (…) certifica (…) la conformità del carro cisterna in esame». Quindi, tutto il carro non solo la parte superiore. Comunque, e siamo alla seconda ragione, scrivono Rfi e Trenitalia, quelle autorizzazioni non servivano. La procedura poteva dirsi superata dalla decisione della Commissione Ue del 29 aprile del 2004, da un decreto legislativo del 30 settembre dello stesso anno (il numero268) e da una direttiva europea del 24 settembre 2008 relativa al trasporto merci pericolose. Ma la spiegazione fa acqua. In primis perché la direttiva del 24 settembre non è mai stata recepita dall’ordinamento italiano.
E poi se la normativa è superata non si capisce perché l’Agenzia per la sicurezza l’abbia fatta propria il 6 aprile scorso, con il decreto 1/2009. O perché non esista una norma o una direttiva sostitutiva. E infine, perché ancora al novembre 2009, la procedura del 2003, che il gruppo Fs ritiene superata, era presente nel sito di Rfi nelle pagine dedicate al quadro normativo. A tutte queste domande le Ferrovie non hanno dato una risposta. Non convincente almeno. E dire che ce ne sarebbe bisogno. Per fare chiarezza su quello che sta circolando oggi nel nostro paese e sul grado di controllo. Per dare giustizia a 31 morti e a una città intera. E tranquillità ai lavoratori che chiedono sicurezza.
L’Unità 13.12.09
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L’e-mail dei tedeschi: carri a rischio, di ro.ro.
«Egregi signori». Inizia in questo modo l’e-mail che avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi e la vita di 31 persone se solo avesse avuto la giusta considerazione. È la lettera che Jörg Schröder invia il 28 maggio scorso. È indirizzata «a tutte le società operanti nel settore del traffico ferroviario e ai proprietari di veicoli ferroviari» nonché alle Agenzie europee competenti. Schöreder lavora all’ufficio centrale dell’Autorità federale per le ferrovie tedesche o Eba. L’oggetto della lettera recita: «Analisi della solidità strutturale (…) per le sale montate di tipo 088 e 188».
Le «sale montate» sono la parte del carro che inglobano anche gli assili. A Viareggio la rottura di uno di questi ha provocato una strage. «Egregi signori – scrive il funzionario tedesco – contestualmente al cedimento di una sala montata sono venuto a conoscenza del fatto che l’analisi di solidità strutturale prevista dalla norma EN 13103 per le sale montate di tipo 088 e 188 non può essere eseguita su tutti i tipi di carro con carico della sala montata superiore a 20 tonnellate». Che vuol dire? Che per quel tipo di «sale montate» le procedure di verifica attuate per accertare la resistenza alla rottura non potevano essere considerati affidabili. Per questo, si legge ancora nella lettera, «presuppongo che tutte le società operanti nel settore del traffico ferroviario e tutti i proprietari (…) controllino l’analisi di solidità strutturale ed eventualmente dispongano misure adeguate per garantire la sicurezza del servizio ferroviario». Perché l’Eba lancia questo allarme generalizzato? Perché, nel maggio 2007, a seguito di sette deragliamenti di treni merci, avvenuti in Germania, Olanda, Austria e Svizzera e tutti dovuti a cedimenti «da fatica» degli assili delle «sale montate», aveva deciso di compiere un’intensa attività di controllo. Attività durata due anni e sfociata nella lettera del 28 giugno scorso. E cioè un mese prima del deragliamento del merci di Viareggio.
Ma che «assili» aveva il carro di quel treno? I riferimenti seriali sono diversi da quelli descritti dall’Eba. Ma questo non vuol dire che non siano gli stessi. La diversità potrebbe anche essere dovuta al fatto che sono stati omologati in Austria invece che in Germania dove si adotta una codificazione differente. Il sindacato Orsa, nel corso dell’audizione del 2 dicembre in Parlamento, ha avanzato «pesanti indizi sulla rispondenza degli assi richiamati dall’Eba e quelli coinvolti nell’incidente». E a supporto della sua tesi cita il fatto che la stessa Eba, dopo la catastrofe, abbia ispezionato circa 4500 carri merci, e non tutti con il tipo di assile indicato nella e-mail, bloccandone un centinaio. Cosa che in Italia non sembra ancora essere avvenuta. Da noi (come testimoniano le foto) i carri merce che trasportano materiale pericoloso sono ancora in pessime condizioni. Nonostante l’Agenzia nazionale per la sicurezza già nel 2007 avesse lanciato un pesante allarme «in merito alla non conformità rilevate sul materiale rotabile merci per il trasporto di merci pericolose, soprattutto relativamente ai trasporti di Trenitalia S.p.A.», nonostante, come afferma un rapporto del ministero delle Infrastrutture del settembre scorso a firma dell’Ingegnere Enzo Celli, l’80% dei deragliamenti interessa proprio il trasporto merci. Che su un totale di «treni chilometri» (339 milioni) in Italia occupa una quota pari al 18%.
L’Unità 13.12.09